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Tecnimont, Eni e A2A verso gas, petrolio e plastica estratti da rifiuti

Il Sole 24 Ore

Tecnimont, Eni e A2A verso gas, petrolio e plastica estratti da rifiuti

Solo Maire Tecnimont porta avanti 12 progetti investendo 5,1 miliardi

Una gamma completa delle produzioni più difficili da decarbonizzare

Jacopo Giliberto

Defossilizziamoci. I colossi italiani della materia grigia — le società di ingegneria, i ricercatori, perfino i singoli inventori — stanno sviluppando tecnologie per avere prodotti energetici, carburanti, idrogeno, intermedi per la chimica, materiali plastici e laminati per mobili, tessuti non-stiro di poliestere, principi attivi per farmaci, coloranti e vernici senza estrarre petrolio, metano o altri materiali dal sottosuolo.

I termoivalorizzatori cui guardano molti per risolvere il problema dei rifiuti sono solamente uno degli strumenti. I rifiuti sono materia prima biogenica da cui ricavare specialty ad alto valore aggiunto.

Via dal petrolio. L’altra settimana la Maire Tecnimont, tramite la controllata NextChem, ha firmato con l’inglese Johnson Matthey un accordo sulle tecnologie per produrre metanolo dai rifiuti. Così come A2A ed Hera ricavano metano dai fanghi dei depuratori. L’Eni a Gela (Caltanissetta) estrae idrocarburi dai rifiuti organici dell’immondizia e a Taranto studia come arrivare all’idrogeno partendo dalla plastica usata. L’Enel Green Power negli Usa in un grande campo fotovoltaico si impegna nella produzione di idrogeno.

La bergamasca Montello di Roberto Sancinelli, leader europea nel riciclo delle plastiche, estrae dagli scarti il metano e guarda all’idrogeno. Oppure la Snam, la Saipem e l’Edison descritti in un altro articolo di questa pagina. Sono tutti prodotti non fossili, non petroliferi, non estratti dal sottosuolo. L’obiettivo è arrivare alla gamma completa delle produzioni più difficili da decarbonizzare, definite con la locuzione inglese hard to abate, come la petrolchimica.

La Maire Tecnimont propone ai colossi della chimica la tecnologia che dissolve i rifiuti e li trasforma nei loro elementi costituitivi, cioè carbonio, idrogeno e ossigeno, dai quali ripartire per ottenere qualsiasi prodotto.

«Con la nostra tecnologia ricreiamo il “mattoncino” alla base della chimica in chiave green e circolare», commenta Pierroberto Folgiero, amministratore delegato.

La società milanese di ingegneria sta sviluppando per i suoi clienti 12 progetti in Italia tra Piemonte, Liguria, Toscana, Lazio, Campania, Sicilia, Abruzzo, Lombardia, Puglia. «Con i progetti che abbiamo allo studio parliamo di un potenziale di riutilizzo di 3,2 milioni di tonnellate l’anno complessive di rifiuti non riciclabili», aggiunge Folgiero.

La costruzione di questi impianti rappresenta per i committenti un investimento di 5,1 miliardi, pari a 153mila tonnellate l’anno di etanolo e 868mila di metanolo, 80mila di idrogeno e 445mila tonnellate l’anno di gas di sintesi (e a 2,6 milioni di tonnellate di anidride carbonica in meno nell’aria).

Le compagnie petrolifere spesso ordinano per le loro raffinerie questo tipo di impianti perché, partendo dal metanolo non fossile, possono ottenere carburanti a basso impatto climatico.

Non è un caso se il colosso dei trasporti marittimi Maersk ha deciso di investire 1,4 miliardi di dollari per alimentare le colossali portacontainer non più con l’olio combustibile petrolifero bensì con metanolo estratto dalla spazzatura.

E la Tecnimont fornirà alla raffineria francese di Grandpuits della Total la tecnologia per produrre 400mila tonnellate l’anno di cherosene ecologico per aerei.

Dall’etanolo estratto dai rifiuti si ottengono moltissimi prodotti, perfino il gel disinfettante per le mani; ma con un processo di deidrogenazione si arriva all’etilene, la base per le materie plastiche.

Il metanolo non fossile può essere la base per arrivare alla formaldeide dei laminati che rivestono i mobili.

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