Il Sole 24 Ore
IGIENE URBANA
Tari, piani e tariffe nel caos: delibere impossibili entro marzo
Chi nel 2020 ha confermato le tariffe 2019 deve avere approvato un doppio Pef
Buio sulla copertura dei costi delle industrie e sugli sconti per le attività chiuse
Pasquale Mirto
La mancata approvazione dell’emendamento al Milleproroghe che svincolava il termine di approvazione delle tariffe Tari da quello dei preventivi rischia di mandare in tilt il sistema.
La regola generale richiede che le tariffe siano approvate entro la scadenza per i bilanci di previsione, ora fissata al 31 marzo. Per approvare le tariffe Tari, tributo o corrispettivo, è necessario che sia varato prima il Pef, e ciò dovrebbe avvenire al massimo entro i primi di marzo; almeno dove sono presenti le Ato, altrimenti il Pef può essere approvato dal Comune con le tariffe.
Ma il 2021 nasce ingarbugliato.
L’articolo 107 del Dl 18/2020 ha permesso di confermare provvisoriamente per il 2020 le tariffe del 2019, evitando così a Comuni e gestori di dover affrontare nel pieno della pandemia le nuove regole per il calcolo dei «costi efficienti» stabilite da Arera. L’adozione di tariffe non aggiornate può produrre un’insufficiente copertura dei costi stabiliti poi con il Pef 2020, il primo redatto con le nuove regole. L’eventuale differenza richiede un conguaglio che può essere suddiviso nel triennio 2021-2023. Il Pef 2020 doveva essere approvato entro il 31 dicembre , ma non tutti gli enti sono stati puntuali. Quindi, per delibere le tariffe 2021 occorre che siano approvati sia il Pef 2020 sia il Pef 2021.
Il Pef 2021 dovrebbe metabolizzare in parte le novità del Dlgs 116/2020, che ha abrogato la possibilità di assimilare i rifiuti speciali agli urbani e ha permesso alle utenze non domestiche di uscire dal servizio, provvedendo in proprio al «recupero» dei rifiuti. Il tutto senza un periodo transitorio e una valutazione delle conseguenze economiche. Ma il Pef non è più un semplice preventivo dei costi, che può tener conto rapidamente delle variazioni delle basi imponibili e delle modalità di gestione. Le regole Arera pretendono infatti di costruirlo sui costi certificati dei due anni antecedenti. Questo può determinare una situazione critica per i Comuni (e per i contribuenti), in quanto le tariffe per il 2021 potrebbero non garantire un’entrata pari ai costi risultanti nel Pef, per la fuoriuscita di un numero consistente di attività economiche cui – almeno nell’immediato – non corrisponde una riduzione di oneri. Ad oggi, il metodo Arera non permette di considerare eventuali minori entrate derivanti da variazioni di basi imponibili, sicché la mancata entrata rimarrebbe a carico del bilancio comunale, anche in violazione al principio normativo per cui le tariffe devono garantire la copertura dei costi. Arera non sembra orientata a intervenire con un provvedimento d’urgenza, che effettivamente rischierebbe di aumentare la confusione così a ridosso delle scadenze.
Ma cosa succede se non si riescono ad approvare le tariffe Tari entro il 31 marzo? La soluzione è scritta nelle norme, che prevedono la conferma delle tariffe approvate l’anno precedente. Ma per chi ha esercitato la facoltà dell’articolo 107 del Dl 18/2020 sono le tariffe 2019. È evidente che qualcosa non funziona, perché da un lato Arera afferma che le maggiori entrate riscosse da recupero evasione devono essere veicolate nella gestione Tari, ma dall’altro il metodo non prevede conguagli per minor bollettazione, pur in presenza del vincolo di pareggio tra entrate e spese Tari.
I Comuni dovranno poi decidere che cosa fare con le riduzioni Tari per le imprese costrette alla chiusura, totale o parziale.
Nel 2020 è intervenuta Arera con la delibera n. 158/2020 ed è stato assegnato un ristoro di un miliardo in conto agevolazioni Covid. Quest’anno il silenzio, come se l’emergenza fosse alle spalle. Quindi, le riduzioni dovranno essere deliberate e finanziate dai Comuni, eventualmente facendo ricorso ai fondi Covid-19.
Insomma, nella Tari non c’è nulla di lineare e una proroga dei termini di approvazione avrebbe permesso scelte meditate, anche perché (ed è un’altra stranezza) vale la regola generale per cui gli adeguamenti tariffari deliberati nell’anno si possono pretendere a decorrere dai versamenti effettuati dopo il 1° dicembre.