Rifiuti urbani, se non hai impianti la Tari è molto più salata

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Rifiuti urbani, se non hai impianti la Tari è molto più salata

Greenreport

Pubblicato il Green book 2020 della Fondazione Utilitatis

Rifiuti urbani, se non hai impianti la Tari è molto più salata

Servono otto miliardi di euro per una riforma strutturale del settore. La bussola? Il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti

Otto miliardi di euro da investire per una riforma strutturale del settore rifiuti in Italia. Il conto è scritto nero su bianco nel Green book 2020 (vedi allegato), il rapporto sul settore dei rifiuti urbani in Italia a cura della Fondazione Utilitatis e promosso da Utilitalia presentato oggi a Roma. Una cifra importante ma necessaria per “la realizzazione di impianti, per introdurre la tariffa puntuale a livello nazionale e incrementare la raccolta differenziata sia nelle quantità che nella qualità, e in grado di traguardare gli obiettivi del pacchetto direttive europee economia circolare”.

Va detto che la fotografia scattata dal Green book 2020 non è pessima: l’intero comparto ha un fatturato di oltre 10 miliardi di euro, in gran parte derivato dalla tariffa rifiuti, ed un numero di addetti che supera le 95mila unità. E nonostante le criticità emerse in fase di lockdown, “il servizio di gestione ha continuato a garantire pulizia e salute pubblica, e, insieme agli altri servizi essenziali a rilevanza economica, può rappresentare uno dei settori in grado di incidere positivamente sul rilancio dell’economia nazionale”.

C’è scarsità di impianti, questo sì, e come già detto da più parti è una situazione che sta peggiorando sempre più. L’appello a una pianificazione è datato, ma la necessità estrema è resa più evidenti dalla chiusura delle frontiere causa pandemia, con “i flussi di rifiuti che venivano inviati all’estero per il loro recupero e/o smaltimento che non hanno trovato uno sbocco, rendendo di fatto ancora più evidente la fragilità del sistema”. Inoltre, emerge come ci siano “grandi aree del Paese che presentano un deficit impiantistico che non consente la chiusura del ciclo di gestione rendendole dipendenti dalla disponibilità di impianti di altre Regioni o da Paesi esteri”. Confrontando infatti i flussi di rifiuti organico e indifferenziato raccolti e trattati nelle rispettive macro aree, “si osserva come soprattutto il Centro-Sud abbia difficoltà di garantire il recupero e lo smaltimento dei propri rifiuti prodotti. Le criticità aumentano più si osserva nel dettaglio la situazione a livello regionale”.

E tutto ciò viene certificato dalle tariffe: i costi del servizio variano in base alla distribuzione territoriale. Per una famiglia tipo (3 componenti in 100 metri quadrati) nel 2019 la spesa per il servizio è stata pari a 310 euro, con forti differenze tra le aree: 273 euro al Nord, 322 euro al Centro, 355 euro al Sud. Differenze che si sono conservate lungo un arco temporale di 7 anni (2014-2019): al Nord la spesa si è mantenuta mediamente pari a 270 euro, al Centro con una riduzione da 336 euro a 322 euro e al Sud con una riduzione da 360 a 355 euro. La spesa più alta per le famiglie del Centro-Sud ha diverse cause, “tra queste sicuramente il maggior costo sostenuto per il trasporto dei rifiuti fuori Regione non avendo un assetto impiantistico adeguato”.

“Il Green Book – commenta il presidente di Utilitatis, Federico Testa – si conferma la monografia di riferimento nel settore dei rifiuti urbani. I dati raccolti e presentati mostrano segnali incoraggianti di sviluppo del settore, evidenziando le ultime novità normative e regolatorie, nonché gli effetti avuti dalla pandemia in corso”.

Il rapporto certifica anche altri numeri da tenere sempre in mente quando si parla di rifiuti: nel 2018 la produzione di rifiuti urbani e assimilati ammonta a circa 30 milioni di tonnellate all’anno, mentre i rifiuti speciali si attestano a 130 milioni di tonnellate. Secondo le stime fornite dal report l’Italia ha un tasso di riciclaggio dei rifiuti urbani compreso tra il 45,2% e il 50,8%, comunque al di sopra della media europea del 47%. Il conferimento in discarica arriva invece al 22%.

La gestione dei rifiuti urbani rappresenta circa un quarto delle spese correnti dei Comuni italiani e nella maggior parte dei casi il servizio è finanziato con un tributo locale, la tassa sui rifiuti (Tari).

Nel nostro Paese il passaggio alla tariffa puntuale ha interessato soltanto il 10% circa dei Comuni, e un contributo del Centro Studi di Banca d’Italia (condotto su oltre 6.100 Comuni) offre un’analisi approfondita nel merito: negli 800 Comuni in cui è stata introdotta la tariffazione puntuale, tipicamente applicata in contesti con raccolte differenziate molto evolute e con un’elevata qualità del servizio, la produzione di rifiuto residuo verrebbe sostanzialmente dimezzata, con un risparmio complessivo sui costi del servizio che viene valutato in un ordine compreso tra il 10 e il 20% all’anno.

Il numero di aziende attive nella gestione del ciclo dei rifiuti è di 637 (escluse le gestioni in economia): 50% specializzato nelle fasi di raccolta e trasporto, il 25% operativo sia nelle fasi di raccolta sia nella gestione diretta di uno o più impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti, mentre il restante 25% è specializzato nella gestione impiantistica. Nel settore rifiuti ci sono molti enti locali che gestiscono in economia il servizio: secondo i recenti dati pubblicati da Arera i Comuni attivi in una o più fasi del servizio sono oltre 5.000, per un totale complessivo (tra aziende e enti locali) di 6.350 soggetti attivi nel comparto; il 73% di questi dichiara di svolgere soltanto un’attività (per gli enti locali tipicamente la riscossione della Tari), mentre il ciclo integrato è svolto dal 2,4% dei soggetti.

Come conclude il vicepresidente di Utilitalia, Filippo Brandolini, “lo studio evidenzia l’importanza di una gestione industriale dell’intero ciclo dei rifiuti, la necessità di realizzare impianti soprattutto al Centro-Sud e l’urgenza di superare le frammentazioni gestionali. I cittadini che vivono in territori dove non ci sono impianti sono costretti, a fronte di una qualità del servizio ed ambientale più bassa, a sostenere maggiori costi. Il Programma nazionale dei rifiuti dovrebbe puntare a risolvere questi aspetti avvalendosi anche del ruolo di Arera, la cui attività regolatoria può tracciare la strada per fornire un servizio di maggiore qualità e più omogeneo sul territorio nazionale”.

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