La disponibilità dei dati ambientali è essenziale per contribuire al formarsi di opinioni avvedute e favorire processi decisionali efficaci. Il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, istituito con una legge del 2016 approvata all’unanimità dal Parlamento, che ha messo rete, con una soluzione “federale” Ispra e le 21 agenzie regionali e delle province autonome, è il fornitore dei dati “ufficiali”. Questo carica di responsabilità il Sistema, che ha quindi il compito di raccogliere i dati che recupera attraverso le proprie attività di monitoraggio di tutte le matrici ambientali (aria, acqua, suolo, agenti fisici), organizzarli e diffonderli. Tutto questo usando procedure di qualità “certificate”, che garantiscano pienamente la correttezza e veridicità dei dati forniti.
Si tratta di un patrimonio enorme, in continua evoluzione, presente nelle banche dati dei 22 enti (Ispra, Arpa, Appa) che compongono il Sistema, e che devono essere integrate. Si tratta di un impegno da “far tremare i polsi”, ma anche da solo giustificherebbe l’esistenza del SNPA.
Per quanto riguarda i rifiuti, la situazione è molto più avanti che su altre tematiche ambientali. Infatti Ispra da tempo pubblica il “Catasto nazionale dei rifiuti“, nel quale si trovano:
- i dati relativi alla produzione e raccolta differenziata dei rifiuti urbani, fino al dettaglio comunale per gli anni 2010-2020, fino al dettaglio provinciale per gli anni 2001-2020; quelli relativi alla gestione dei rifiuti urbani per gli anni 2015-2020 e sui costi di gestione dei rifiuti urbani per gli anni 2011-2019;
- i dati sulla produzione e la gestione dei rifiuti speciali per gli anni 2014-2019.
Per tutti questi dati è possibile scaricare le informazioni in formato aperto e riutilizzabile.
La strategia dell’Unione europea in materia di rifiuti, prevede di agire sulle 4 R (Riduzione, Riutilizzo, Riciclo, Recupero) per una corretta ed efficace gestione sostenibile dei rifiuti. Tra gli obiettivi delle quattro direttive del “pacchetto economia circolare”, entrate in vigore il 4 luglio 2018, è il riciclo di almeno il 55% dei rifiuti urbani entro il 2025. Questa quota è destinata a salire al 60% entro il 2030 e al 65% entro il 2035. Il secondo obiettivo è il riciclo del 65% dei rifiuti di imballaggi entro il 2025 (70% entro il 2030) con obiettivi diversificati per materiale, come illustrato nella tabella:
Materiale | Entro il 2025 | Entro il 2030 |
Tutti i tipi di imballaggi | 65% | 70% |
Plastica | 50% | 55% |
Legno | 25% | 30% |
Metalli ferrosi | 70% | 80% |
Alluminio | 50% | 60% |
Vetro | 70% | 75% |
Carta e cartone | 75% | 85% |
La raccolta differenziata, quindi, costituisca un mezzo, un passo intermedio rispetto alla effettiva costruzione di una filiera funzionante in una logica di economia circolare. D’altra parte, è comunque significativo capire come si presenti la situazione oggi relativamente alla raccolta differenziata, rispetto a questa fase del ciclo di produzione-riciclo-smaltimento dei rifiuti, in quanto essa costituisce il primo step del processo che, se non ottimizzato, rischia di creare molti problemi ai passaggi successivi.
La normativa europea, successivamente recepita da quella italiana (D.Lgs. 152/2006), ha da tempo indicato l’obiettivo minimo del 65% da raggiungere entro il 2012 (mentre il 45% doveva essere raggiunto nel 2008), nel 2020 a livello nazionale siamo al 63%.
Poco sappiamo della qualità della raccolta differenziata, che poi è determinante per le operazioni di recupero/riciclo, ma certo – se dovrà essere riciclato entro il 2025 il 55% dei rifiuti urbani – se non si raggiunge neppure quanto previsto dalla normativa per dieci anni fa, ben difficilmente si potranno rispettare i nuovi obiettivi.
In questo articolo utilizzerò i dati ricavati dal Catasto per alcune considerazioni sui rifiuti urbani relativamente ai dati nazionali e per macroaree (Nord-Centro-Sud) per il decennio 2011-2020. In successivi articoli tratterò i medesimi dati prima a livello regionale, poi provinciale e quindi comunale.
Le tre macroaree considerate comprendono:
- Nord: Valle D’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna. Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trento e Bolzano;
- Centro: Toscana, Umbria. Marche, Lazio;
- Sud: Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Campania, Calabria, Sicilia, Sardegna.
Produzione di rifiuti urbani
Nel decennio 2011-2020 si è passati complessivamente da una produzione di 31 milioni e 386mila tonnellate (2011) ad una di 28 milioni e 945mila tonnellate, con una diminuzione di quasi due milioni e mezzo di tonnellate di rifiuti, in percentuale poco meno dell’8%.
Nel 2020 il 48% dei rifiuti urbani è stato prodotto nel Nord Italia nel quale abita circa il 46% della popolazione, mentre nel Mezzogiorno i rifiuti urbani prodotti nel 2020 sono stati il 31% del totale nazionale, con una popolazione che pesa per il 34%, infine nelle regioni del Centro Italia il 20% della popolazione italiana ha prodotto il 21% dei rifiuti urbani.
Nel decennio considerato nelle tre macroaree considerate la diminuzione nella produzione dei rifiuti è proceduta a diverse velocità, maggiore è stata nell’Italia Centrale (-857mila tonnellate, pari ad -12,2%, fra il 2011 ed il 2020) e nel Sud Italia (-1.149.000 tonnellate, meno 11,5%) rispetto all’Italia settentrionale (-435mila tonnellate, pari ad un -3%).
In termini pro-capite, nel decennio si è passati da 528 kg/anno per persona a 488 kg/anno. In questi caso la macroarea con minore produzione di rifiuti urbani è il Sud (442,5 kg nel 2020 rispetto ai 486 di dieci anni prima), poi il Nord con 507 kg rispetto a 527, ed infine il Centro con 524 kg rispetto a 604. L’Italia di mezzo è quella che ancora ha la più alta quota pro-capite di rifiuti prodotti, ma è anche quella dove si è verificata fra il 2011 ed il 2020 la riduzione più marcata.
Raccolta differenziata
D’altra parte il quadro cambia completamente se si guardano i dati relativi alla raccolta differenziata. E’ il Nord Italia la macroarea più virtuosa con il 70,79% registrato nel 2020 (rispetto al 51% del 2011), seguito dal 59,16% del Centro Italia (rispetto al 30,24% di dieci anni prima) ed infine il 53,57% del Sud (rispetto al 23,9% del 2011). Complessivamente quindi l’Italia nel 2020 si ferma al 63% (nel 2011 era al 38%) ed ancora non rispetta il limite stabilito a livello europeo del 65% che doveva essere assicurato già dal 2012.
I dati forniti da ISPRA entrano poi nel dettaglio delle frazioni merceologiche raccolte in modo differenziato, aspetto naturalmente molto importante perchè da esse poi si devono sviluppare le filiere dell’effettivo recupero/riciclo delle materie. Sul tema vedi il rapporto “L’Italia del riciclo 2021“.
In termini quantitativi carta e cartone, vetro e plastica rappresentano le frazioni più consistenti.