Il Sole 24 Ore
Per il 2020 niente sanzioni a chi non applica la riforma che sarà «sperimentale»
«Sperimentale». La parola magica che in Italia blocca tante riforme sulla linea di partenza arriva anche per la «nuova Tari», ultima manifestazione della tariffa sui rifiuti urbani. Che da quest’anno dovrebbe essere soggetta alla regolazione indipendente e ai piani finanziari scritti in base alle regole fissate dall’Arera, l’Authority che vigila ormai su tutti i principali servizi a rete. Ma la nuova Tari, hanno chiarito ai sindaci gli esponenti di governo presenti al tavolo della Conferenza Stato-Città di ieri, per quest’anno sarà probabilmente «sperimentale». Chi non vorrà applicarla, in pratica, potrà seguire le vecchie regole. In attesa del 2021.
Che cosa significa? Per capirlo bisogna addentrarsi nel reticolo normativo della tariffa, che ricorda da vicino il caos di molte strade nelle città italiane alle prese con le eterne emergenze rifiuti. In pratica l’Italia tenta da molti anni di applicare il principio europeo del «chi inquina paga», che prevede tariffe misurate in base ai rifiuti prodotti. Senza successo. Perché ogni riforma è stata accompagnata da deroghe che hanno mantenuto in vita il vecchio «metodo normalizzato» del 1993. Una girandola di parametri in cui case analoghe, e soprattutto negozi identici, possono veder cambiare il conto anche di 10 volte nel passaggio da un Comune all’altro. Per mettere ordine nel ginepraio, la manovra 2018 ha affidato ad Arera il compito di costruire il nuovo «metodo tariffario», un po’ come accaduto qualche anno prima per il servizio idrico. Compito che l’Arera ha svolto con un’amplissima consultazione con operatori e amministratori che ha portato a novembre all’adozione di due delibere: il nuovo metodo tariffario, appunto, e gli obblighi di trasparenza in bolletta (che non dovrebbero essere coinvolti dalla “sperimentazione”).
La pubblicazione delle delibere, con l’entrata in vigore al 1° gennaio 2020, e la pioggia delle richieste di proroga sono state simultanee. E prima hanno prodotto il nuovo calendario per le delibere, che quest’anno concede tempo ai Comuni fino al 30 aprile. E oggi promette la svolta della «sperimentazione». Perché quando si interviene su una materia caotica i problemi sono infiniti. La Tari che arriva a casa di ogni italiano è figlia di un «piano economico-finanziario», che fissa i costi del servizio da coprire integralmente con la tariffa. Ma chi deve fare i piani finanziari? Perché le norme oggi impongono di approvare le tariffe sulla base del piano predisposto dal gestore dei rifiuti e approvato dall’«autorità competente». Il nuovo metodo individua in Arera l’autorità che approva in via definitiva il piano, ma prevede anche che in attesa della decisione finale si applicano i prezzi validati dall’autorità territorialmente competente. Autorità che spesso non esiste, perché la riforma del 2006 non è stata mai applicata, oppure esiste sulla carta ma non è operativa. In questi casi, l’approvazione dovrebbe arrivare dal Comune, che si auto-approverebbe il piano finanziario. Un caos, che promette di moltiplicare i ricorsi. Che sono già partiti.
Gianni Trovati