Italia Oggi
La storica dichiarazione ambientale dopo quest’anno potrebbe andare in soffitta
di Vincenzo Dragani
L’edizione 2020 della storica dichiarazione ambientale «Mud», istituita dalla legge 70/1994, potrebbe potenzialmente essere l’ultima. Lo slittamento, a causa della pandemia da coronavirus, dal 30 aprile al 30 giugno 2020 del termine finale entro cui comunicare alla P.a. i dati sul flusso di rifiuti prodotti e/o gestiti nel corso precedente anno cade a ridosso della deadline europea per recepire le ultime norme comunitarie che impongono la riformulazione in senso telematico dell’intero sistema di tracciabilità dei rifiuti. Riformulazione nella quale, in base alle norme licenziate in via preliminare dal Governo nello scorso marzo e già all’esame del Parlamento, dovrebbe trovare posto la rivisitazione informatica di registri di carico/scarico rifiuti e formulario di trasporto nonché un passo avanti nella predisposizione dell’annunciato «Registro elettronico nazionale» e il superamento del terzo storico pilastro della tracciabilità, ossia la presentazione del «Modello unico di dichiarazione ambientale».
Lo slittamento del Mud 2020. La proroga di due mesi per l’inoltro del «740 verde», al quale sono obbligati produttori/gestori di rifiuti e fabbricanti di beni considerati ad alto impatto ambientale una volta a fine vita, è previsto dal dl 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. «Cura Italia», in G.U. del 17 marzo 2020 n. 70), recante misure di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19.
La platea dei soggetti obbligati alla presentazione del Mud 2020, si ricorda, ruota intorno alle sei sezioni previste dal modello unico di dichiarazione, ossia:
– comunicazione rifiuti;
– veicoli fuori uso
– imballaggi
– Raee
– rifiuti urbani
– Aee.
I soggetti obbligati, in particolare, alla «comunicazione rifiuti» ex articolo 189, dlgs n. 152/2006 (e in base all’art. 190 funzionalmente obbligati alla tenuta dei registri di carico/scarico) sono:
– produttori iniziali rifiuti pericolosi (escluse, ex legge 221/2015, le imprese agricole e operatori Ateco 96.02.01, 96.02.02, 96.09.02);
– produttori iniziali con più di 10 dipendenti di rifiuti speciali non pericolosi da lavorazioni industriali e artigianali, attività di recupero/smaltimento rifiuti, fanghi da trattamento acque e abbattimento fumi (ex articolo 184, comma 3, lettere c, d, g);
– raccoglitori e trasportatori professionali di rifiuti (pericolosi e non);
– enti/imprese di recupero e smaltimento rifiuti;
– commercianti e intermediari di rifiuti (pericolosi e non) senza detenzione;
– consorzi istituiti per il recupero e il riciclaggio di particolari tipologie di rifiuti.
Il nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti in arrivo. I nuovi principi unionali per la tracciabilità dei rifiuti sono previsti dalla direttiva 2018/851/Ue (di modifica della direttiva madre in materia, la 2008/98/Ce). La nuova direttiva, insieme ad altri tre provvedimenti costituenti il noto «Pacchetto economia circolare – rifiuti», impone il controllo tramite registri elettronici dei rifiuti pericolosi, dalla produzione alla destinazione finale passando per il relativo trasporto, lasciando facoltà agli Stati membri di allargarne la portata ai non pericolosi.
Tutto ciò entro il termine fissato a livello unionale nel 5 luglio 2020, che tuttavia è anticipato dalla nostra legge 234/2012 (sull’adeguamento all’Ordinamento giuridico europeo) alla più vicina scadenza del 5 marzo 2020. E proprio lo scorso 5 marzo 2020, in limine litis, il consiglio dei ministri ha licenziato quattro schemi di decreto legislativo per il recepimento delle nuove direttive Ue, tra cui l’atto destinato a modificare il decreto legislativo n. 152/2006 (il «Codice ambientale») anche in merito al sistema di tracciabilità dei rifiuti.
Al centro della riforma vi è la messa a fuoco dei contorni del Registro elettronico nazionale (c.d. «Ren») già istituito dal dl 135/2018 ad erede del soppresso «Sistri». Il nuovo sistema, che sarà reso operativo mediante un decreto del ministero dell’ambiente disciplinante il funzionamento, è composto da due parti:
– una anagrafica, che ospiterà dati identificativi dell’operatore e autorizzazioni alla gestione rifiuti di sua titolarità;
– l’altra relativa alla vera e propria tracciabilità dei rifiuti, in cui vi saranno i dati relativi a registri di carico/scarico e formulari di trasporto rifiuti, nonché le informazioni relative al percorso effettuato dai mezzi di trasporto dei residui. Coerentemente all’impostazione informatica del nuovo Registro, stabilisce il dlgs in itinere che gli adempimenti relativi a registri e formulari dovranno essere assolti digitalmente dai soggetti che opereranno, a titolo obbligatorio o facoltativo, sul Ren.
A tal fine il ministero dell’ambiente riscriverà modulistica, regole di compilazione e (a completamento delle poche e in alcuni casi insufficienti regole già in essere) modalità di tenuta informatica dei suddetti documenti.
I soggetti che, avendone facoltà, non aderiranno al Ren potranno invece continuare a tenere tali scritture in formato cartaceo.
In ogni caso la modulistica da utilizzare sarà unicamente quella scaricabile direttamente dal Registro elettronico nazionale e aggiornata dal punto di vista tecnico dallo stesso Dicastero con semplici decreti non regolamentari (dunque dall’iter di adozione più snello).
I soggetti obbligati all’adesione al Registro elettronico nazionale restano quelli già previsti dal citato decreto legge n. 135/2018 che li individua nei seguenti: enti e imprese che effettuano il trattamento dei rifiuti; produttori di rifiuti pericolosi; enti e imprese che raccolgono o trasportano rifiuti pericolosi a titolo professionale; commercianti e intermediari di «pericolosi»; consorzi istituiti per il recupero e il riciclaggio di particolari tipologie di rifiuti; i produttori iniziali di rifiuti non pericolosi (identificati con rinvio normativo all’articolo 189, comma 3 del Codice ambientale) contemplati dal citato articolo 184, comma 3, lettere c), d), g), stesso dlgs 152/2006.
Le norme governative non toccano la disciplina relativa al formulario di trasporto rifiuti, ma rivisitano invece direttamente (mediante la modifica dell’articolo 190 del Codice ambientale) l’elenco dei futuri soggetti obbligati alla tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti, che (nel tenore della bozza in discussione) comprenderà il novero dei soggetti obbligati ad aderire al Registro nazionale più i Consorzi istituiti per il recupero ed il riciclaggio di particolari tipologie di rifiuti (con una apparente riduzione dell’attuale platea).
Lo schema di decreto governativo non tocca altresì le regole e soggetti obbligati al terzo storico strumento di tracciabilità, ossia il Mud, né appare cancellarne il relativo obbligo sancito dall’attuale articolo 189 dello stesso Codice ambientale.
Laddove sarà tale impostazione a debuttare nell’ordinamento giuridico potrebbe verificarsi (almeno in un prima fase di convivenza all’interno del rinnovato Sistema di tracciabilità) un disallineamento tra il novero di soggetti obbligati alla tenuta dei registri di carico e scarico (ristretto, come anticipato) e quello obbligato alla dichiarazione Mud (più largo del primo).
Alcuni «indizi» rintracciabili nelle norme di recepimento del Pacchetto economia circolare inducono però a pensare a un rapido superamento dell’obbligo della storica dichiarazione Mud; tra tali indizi normativi vi sono: la previsione di (future) regole ministeriali che (nell’ottica della interoperatività dei dati e della semplificazione amministrativa) disciplineranno: le modalità di coordinamento tra le comunicazioni di cui alla legge 25 gennaio 1994 n. 70 (istitutiva del Mud) e gli adempimenti trasmessi al Registro elettronico nazionale; la condivisione dei dati del Ren con l’Ispra al fine del loro inserimento del Catasto dei rifiuti ex articolo 189 del Codice ambientale (Istituto ove confluiscono i dati del Mud); le modalità di accesso ai dati del Registro elettronico nazionale da parte degli organi di controllo.