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Rifiuti, calano gli imballaggi immessi al consumo in Italia ma l’avvio a riciclo cresce

Greenreport

Presentata la Relazione generale Conai

Rifiuti, calano gli imballaggi immessi al consumo in Italia ma l’avvio a riciclo cresce

Su 13,1 mln di ton immesse al consumo nel 2020 segnato dalla pandemia, 9,5 sono state avviate a riciclo e 1,4 a recupero energetico

Di Luca Aterini

Nel corso del 2020 in Italia è calato l’immesso al consumo di imballaggi (-4,6%) per il venir meno di quelli destinati ai settori commerciali e industriali – bloccati a causa della pandemia –, ma grazie all’incremento nella raccolta differenziata urbana l’avvio a recupero degli imballaggi è comunque cresciuto del 3,3%.

A comunicarlo è direttamente il Consorzio nazionale imballaggi (Conai), che ha presentato oggi la sua nuova Relazione generale. Sul totale delle 13,1 mln di ton di imballaggi immesse al consumo, sono state oltre 9,5 quelle raccolte in modo differenziato per poi essere avviate a riciclo (+3,3%), mentre 1,4 sono finite a recupero energetico (+0,1%). Sommando ai numeri del riciclo quelli del recupero energetico, il totale di imballaggi sottratti alla discarica o a smaltimenti impropri arriva all’83,7%, pari a un totale di 10,9 mln di ton.

«È un record, il tasso di riciclo è il più alto che il nostro Paese abbia conosciuto: oggi siamo secondi solo alla Germania in termini di quantitativi di imballaggi riciclati», osserva il presidente del Conai Luca Ruini. Certo, è necessario sapere che si tratta di un risultato relativo guardando al sistema-Paese nel suo complesso, visto che i rifiuti da imballaggio – al centro degli sforzi per la raccolta differenziata, assieme all’organico – rappresentano una minima parte del totale sebbene particolarmente visibile: «Il 28% dei rifiuti urbani e assimilati e il 7% dei rifiuti totali prodotti nel nostro Paese», precisa Ruini.

Ciò non toglie che nella roadmap disegnata dall’Ue per promuovere l’economia circolare dei rifiuti urbani, l’Italia abbia dei punti di forza. Tra cinque anni, infatti, ogni Stato membro dovrà riciclare almeno il 65% degli imballaggi, e per questa frazione l’avvio a riciclo in Italia è già oggi al 73%.

Anche tutti i singoli materiali di imballaggio sembrano aver raggiunto le percentuali di riciclo richieste entro il 2025. Resta indietro solo la plastica, ma di meno di due punti percentuali: nel 2020 in Italia ne è stata avviata a riciclo il 48,7%, ma «raggiungere il 50% richiesto dall’Unione in cinque anni non rappresenta un problema», conclude Ruini.

«Nel riciclo degli imballaggi l’Italia conferma la sua leadership traguardando in anticipo di quattro anni gli obiettivi comunitari – conferma Laura D’Aprile, capo dipartimento al ministero della Transizione ecologica – il Sud cresce quasi quanto il Nord e verrà ulteriormente supportato con gli investimenti previsti nel Pnrr; il raggiungimento degli obiettivi consente di corrispondere ai Comuni contributi che vanno a ridurre le tariffe, a vantaggio dei cittadini».

Tariffe che però in molti casi aumentano per una serie di fattori, non ultima la diffusione di forme di raccolta differenziata più complesse come il porta a porta.

Non a caso «per coprire i maggiori costi che i Comuni sostengono nel ritirare i rifiuti in modo differenziato (affinché smaltirli tutti in discarica), nel 2020 Conai ha riconosciuto alle amministrazioni locali italiane 654 milioni di euro», spiegano dal Consorzio. Milioni che coprono «una percentuale significativa della spesa sostenuta per la raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio».

Quanto sia “significativa” questa percentuale non è dato sapere in dettaglio, anche se si stima che in totale i costi ammontino a circa 1 miliardo di euro (ma c’è chi a raddoppiare questa stima): per questo il contributo riconosciuto dal Conai ai Comuni sembra destinato a raddoppiare nei prossimi anni, sempre per recepire le direttive Ue.

Ma le sfide per rendere più sostenibile – ambientalmente quanto economicamente – la differenziata serve guardare oltre la fase di raccolta rifiuti, adottando un approccio più ampio. Raccogliere i rifiuti costa – come del resto costa tenere pulita casa propria –, soprattutto se fatto tramite modalità complesse come la raccolta porta a porta; ma i rifiuti raccolti rappresentano “una risorsa” solo se a valle c’è un adeguato mercato di sbocco (cui dovrebbe contribuire in primis la Pa tramite gli acquisti verdi), altrimenti sono un disvalore da gestire; se tra raccolta e mercato non c’è una filiera impiantistica di prossimità per selezionare e avviare i rifiuti raccolti a recupero (o a smaltimento, a seconda dei casi), i costi crescono ulteriormente insieme al ricorso all’export.

Ecco perché, per continuare a migliorare, è fondamentale colmare le lacune impiantistiche che ancora affliggono la gestione dei rifiuti urbani (e non), limitando il turismo della spazzatura, e incentivare adeguatamente il mercato delle materie prime seconde per chiudere davvero il cerchio dell’economia circolare.

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