Greenreport
Riciclo chimico e biodigestori: le nuove tecnologie per chiudere il ciclo dei rifiuti in Toscana
Per traguardare gli obiettivi sull’economia circolare indicati dall’Ue, è urgente realizzare sul territorio nuovi impianti: ecco quali sono le soluzioni in campo
Di Luca Aterini
In Toscana generiamo ogni anno circa 12,25 mln di ton di rifiuti (tra urbani e speciali), a fronte di una dotazione impiantistica cronicamente insufficiente a trattarli, soprattutto per quanto riguarda le frazioni non riciclabili meccanicamente, ovvero quelle soluzioni industriali ormai tradizionali che – si pensi al caso della plastica – selezionano, triturano, lavano e infine fondono i materiali raccolti da cittadini e imprese in modo differenziato per arrivare a generare nuovi prodotti.
Ma oltre al riciclo (meccanico) c’è di più: secondo lo studio appena presentato da Cispel e Confindustria Toscana in Consiglio regionale, per colmare il gap e arrivare a traguardare gli obiettivi europei sull’economia circolare al 2030 è necessario dotarci in primis di nuovi biodigestori (in grado di gestire almeno 700mila ton/anno di rifiuti) ed impianti di riciclo chimico o recupero energetico (per altre 597mila ton/anno). Di cosa si tratta?
Biodigestione anaerobica
I biodigestori anaerobici rappresentano la tecnologia più avanzata per valorizzare la frazione organica dei rifiuti, come gli scarti di cucina: si tratta di impianti industriale dove, tramite un processo biologico complesso in condizioni di assenza di ossigeno, realizzato grazie all’azione naturale di diversi microrganismi, la materia organica viene trasformata in biogas (un fonte rinnovabile costituita principalmente da metano e anidride carbonica) e in un residuo solido-liquido chiamato digestato, che può essere ulteriormente trattato per poi essere impiegato in agricoltura come ammendante compostato misto.
Grazie a questa tecnologia è possibile anche abbattere in modo drastico le maleodoranze tradizionalmente associate alla gestione dei rifiuti organici tramite compostaggio, in quanto prevede generalmente un ambiente chiuso per il recepimento e lo stoccaggio dei rifiuti, dotato di unità di captazione e trattamento aria, che previene la diffusione degli odori.
Secondo lo studio Ref ricerche presentato in Consiglio regionale, la realizzazione degli 8 impianti di trattamento del rifiuto organico già previsti in Toscana consentirà di coprire i fabbisogni di gestione al 2030, ovviamente a patto che tali impianti non restino solo su carta ma vengano effettivamente realizzati. Le principali criticità da risolvere si spostano dunque sul fronte del riciclo chimico o recupero energetico.
Riciclo chimico
Il riciclo chimico mediante la tecnologia waste to chemicals rappresenta una soluzione tecnologica che permette di chiudere il ciclo recuperando i rifiuti plastici e secchi non riciclabili meccanicamente. La tecnologia consente di trasformare il carbonio e l’idrogeno contenuti in questi rifiuti per ottenere molecole re-impiegabili come elementi di partenza per nuovi prodotti o carburanti sostenibili.
Si tratta di una tecnologia presentata lo scorso autunno dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa insieme a NextChem, ovvero la controllata della multinazionale italiana Maire Tecnimont che opera nel campo della chimica verde e della transizione energetica, in grado di valorizzare in modo più sostenibile quei rifiuti altrimenti destinati a termovalorizzazione o discarica, come plasmix (le plastiche difficili o impossibili da riciclare che residuano dalla raccolta differenziata) o CSS (il Combustibile solido secondario che si ottiene dal processo di trattamento meccanico biologico dei rifiuti indifferenziati).
A partire da un processo di ossidazione parziale (ovvero senza combustione completa), la tecnologia NextChem prevede la conversione chimica delle molecole di idrogeno, carbonio e ossigeno contenute in questi rifiuti – gli stessi elementi compongono oltre il 90% del corpo umano – in un gas di sintesi detto syngas, che è un prodotto chimico particolarmente pregiato: una volta purificato, il syngas può essere utilizzato tal quale (ad esempio in siderurgia, al posto del polverino di carbone o del gas naturale) oppure trasformato in prodotti come etanolo, metanolo e idrogeno, che rappresentano elementi chiave per la transizione ecologica, potendo trovare impieghi per chimica di base, carburanti sostenibili e molti altri processi produttivi.
Al contrario di quanto accade con la termovalorizzazione dei rifiuti (una tecnologia molto diversa dal riciclo chimico, come chiarito sin dalla direttiva CEE 75/2010), questa soluzione permette di evitare emissioni di inquinanti in atmosfera e di ridurre complessivamente – considerando anche quelle evitate a monte e a valle del processo, ovvero guardando all’intera analisi del ciclo di vita (Lca) – fino al 90% le emissioni di CO2 in atmosfera; la CO2 emessa dall’impianto di riciclo chimico è quasi esclusivamente una CO2 pura, che, anziché rilasciata in atmosfera, può essere liquefatta o compressa e impiegata per altri usi (dalla concimazione carbonica per le serre agricole alla refrigerazione).
Anche la maggior parte degli scarti solidi che esitano dal processo waste to chemicals possono essere re-impiegati in ottica circolare: si tratta di residui vetrificati da frazione inerte (idonei come materia prima seconda in campo edile-civile), zolfo (recuperabile nell’industria chimica) e fanghi (residui presenti nei rifiuti che vengono eliminati con il lavaggio per la purificazione del syngas e poi mandati a smaltimento, una quota molto piccola che rappresenta il 4% dei rifiuti in ingresso). Un approccio circolare a tutto tondo che si può integrare anche con altre tecnologie green, come il riciclo meccanico e l’elettrolisi per produrre idrogeno verde da rinnovabili, tanto che da NextChem parlano di Distretti circolari verdi più che di un impianto industriale operante in solitaria.
Termovalorizzazione
Il termovalorizzatore è un impianto che si basa sulla combustione completa dei rifiuti, generalmente tramite forni a griglia o a letto fluido, per produrre vapore e da questo ottenere energia elettrica e/o termica; come scarti presenta la generazione di ceneri pesanti (tipicamente 150-250 kg per ton di rifiuto trattato), ceneri leggere (di norma smaltite in discariche per rifiuti pericolosi), fanghi (anche qui derivanti dai rifiuti in carica e rimossi nel sistema di purificazione dei fumi e da inviare a smaltimento)e fumi contenenti numerosi micro e macro inquinanti(ossidi di zolfo e azoto, metalli pesanti, diossine, etc) che richiedono complessi sistemi di abbattimento per portarli sotto i limiti di legge, oltre a emissioni climalteranti (come la CO2).
Come ogni altro impianto industriale per la gestione rifiuti, anche i termovalorizzatori devono comunque sottostare ai rigidi criteri imposti dalle autorizzazioni ambientali rilasciate dall’autorità competente (ovvero dalla Regione), tanto che i moderni termovalorizzatori non comportano rischi reali e sostanziali per la salute umana.
Per quanto riguarda invece i gas serra, nell’ambito della riforma europea dell’Ets è già stata avanzata la proposta di includere, a partire dal 2028, le emissioni di CO2 derivanti da termovalorizzazione nel Sistema europeo per lo scambio di quote emissione di gas a effetto serra. Ciò significa che ogni tonnellata di CO2 emessa da questi impianti (oggi esentati) porterà pressoché al raddoppio della tariffa di incenerimento con tale aggravio di costo che ricadrà sui cittadini.
Vista anche la disponibilità di tecnologie innovative come il riciclo chimico, la Regione Toscana ha deciso che il nascente Piano regionale per l’economia circolare non prevedrà la realizzazione di nuovi termovalorizzatori, riducendo anzi la presenza di questi impianti ai due più avanzati già presenti sul territorio, a Poggibonsi (SI) e San Zeno (AR), in grado di garantire performance elevate e ambientalmente sicure.