Greenreport
Si è tenuto oggi il convegno promosso dalla Cgil
Piano rifiuti, la Toscana guarda al waste to chemicals per andare oltre gli inceneritori
Monni: «È una tecnologia cui guardiamo con interesse, apriamo una grande fase di discussione e partecipazione». Ferruzza: «Innovazione incredibile, ma bisogna spiegarla bene»
Di Luca Aterini
C’era una volta la Toscana degli inceneritori: un tempo erano 11 gli impianti presenti sul territorio, scesi a 7 nel 2013 e oggi precipitati a 4, con un metà (Livorno e Montale) di prossima chiusura e l’altra (Poggibonsi e San Zeno) destinata a restare in attività. Un risultato raggiunto in parte grazie all’incremento della quota di rifiuti avviata a riciclo, ma anche perché abbiamo semplicemente deciso di spostare altrove il problema.
A testimoniarlo ci sono ad esempio le ecoballe di rifiuti non riciclabili ancora disperse sui fondali del Tirreno, sbalzate nel 2015 dalla motonave Ivy partita da Piombino per portarle a bruciare in Bulgaria. Soprattutto, ci sono ancora i deficit impiantistici che impediscono di chiudere davvero il ciclo dell’economia circolare: 388mila ton/anno di rifiuti speciali che già oggi non sappiamo dove mettere, e un gap sui rifiuti urbani che si allarga a 447mila ton/anno guardando agli obiettivi Ue al 2035.
È questo uno dei principali scogli con cui è chiamata a confrontarsi la Regione nella stesura del nuovo Piano rifiuti, dopo che quello vecchio è ormai da tempo scaduto senza aver traguardato nessuno dei principali obiettivi che si era posto.
Per capire a che punto siamo, il convegno La Toscana verso il nuovo piano regionale dei rifiuti organizzato stamani dalla Cgil Toscana rappresenta un’importante occasione di confronto.
«Abbiamo un’occasione in cui non dobbiamo sbagliare – commenta il segretario della Cgil regionale, Maurizio Brotini – Stamani è stato positivo aver ribadito la residualità del conferimento in discarica e la riduzione a due degli impianti di termovalorizzazione chiudendo quelli in eccedenza, aprendo un ragionamento sull’impiantistica intermedia necessaria ad arrivare in raccolta differenziata a materie prime-seconde che possono avere anche un mercato. È importante anche la premessa di puntare alla riduzione della quantità di rifiuti, di pensare alla qualità dei prodotti in funzione della loro fine, di allungare la vita stessa dei prodotti, di dare vita a un circuito virtuoso sul riuso degli stessi. Positivo anche che sia stata ribadita l’importanza della partecipazione democratica in questo processo e della frontiera della trasformazione per via chimica dei prodotti e degli scarti non altrimenti riutilizzabili se non col conferimento in discarica o col ricorso al termovalorizzatore».
Che fare dunque con quei rifiuti che non sono e non saranno riciclabili in modo tradizionale, ovvero meccanicamente, ma che non dobbiamo più smaltire massicciamente in discarica e non vogliamo più neanche incenerire?
Il presidente di Legambiente Toscana, Fausto Ferruzza, è intervenuto affrontando il tema delle tecnologie waste to chemicals, come quelle presentate la scorsa settimana dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa insieme a NextChem: «Incredibili innovazioni che stanno affacciandosi grazie a riciclo chimico e gassificazione, in grado di produrre dai rifiuti idrogeno, metanolo, etanolo. Ma anche l’innovazione bisogna saperla spiegare bene, ed è necessario che la ricerca chiarisca definitivamente il quadro emissivo in uscita a questi impianti, che devono essere le più sobrie e sostenibili possibili. L’impatto zero non esiste, ma se non viene chiarito l’aspetto delle emissioni poi il “popolo inquinato” non si fida: servono dibattiti pubblici e strumenti partecipativi per coinvolgere le comunità dei cittadini, spiegando il tema in modo trasparente e corretto».
Punti su cui è emersa una forte convergenza con l’assessora regionale all’Ambiente, Monia Monni: «Sono convinta che senza una grande operazione di spiegazione, trasparenza e coinvolgimento dei cittadini non saremo in grado di fare la transizione ecologica, perché altrimenti ad ogni pannello fotovoltaico che mettiamo a terra avremo la guerra civile» sotto forma di sindromi Nimby & Nimto.
Nel merito, la Toscana «non vuole più ricorrere a nuovi termovalorizzatori. Guardiamo con interesse agli impianti waste to chemicals, perché credo che la tecnologia ci venga incontro in questo senso e credo che possa essere una strada interessante: il metanolo ad esempio ha un mercato interessantissimo che contribuisce a ridurre l’impiego dei carburanti fossili, ma l’Italia ad oggi ne importa il 99% del metanolo. Vediamo che proposte verranno presentate».
La grande novità nella fase di redazione del nuovo Piano rifiuti sta infatti nella scelta di puntare su un avviso pubblico per chiedere alle imprese che hanno soluzioni tecnologiche innovative sulla gestione rifiuti di farsi avanti, e il waste to chemicals sembra un candidato naturale soprattutto adesso che è stato inserito anche tra l’impiantistica finanziabile coi fondi Pnrr. Anche su questo fronte però occorre accelerare, perché l’avviso era atteso per metà ottobre ma ancora non risulta pubblicato.
Soprattutto, è indispensabile procedere con grande trasparenza e onestà intellettuale: «Tutto questo – chiosa Monni – si fa solo insieme alla gente, aprendo una grande fase di discussione e partecipazione. Se proviamo insieme a disseminare informazioni, cultura dell’ambiente e della sostenibilità, qualche possibilità ce l’abbiamo di scardinare gli egoismi territoriali ed avere una visione più vasta, più complessa ma più completa che porta alla responsabilità di capire che alcuni impianti e alcuni opere sono assolutamente necessari alla transizione ecologica, senza guardare solo al proprio orticello»