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GROSSETO – E allora mambo! Nel senso che nella cacofonia mediatica, e monotematica, propinataci quotidianamente sul Coronavirus, meglio provare a cambiare ritmo. E quindi argomento.
Parliamo di rifiuti. Meglio: parliamo dell’isteria da rifiuti. Cugina buona di quella da contagio. Che fa velo a una delle grandi ipocrisie pseudo-ambientaliste italiane. Quindi toscane, in definitiva maremmane.
Narrano le cronache di una recente indignazione, e mobilitazione, per 46 ecoballe di “combustibile solido secondario” (Css: prodotto da rifiuti) cadute in mare cinque anni fa da un cargo partito dal porto di Piombino. Quel Css – che si trova al largo dell’isolotto di Cerboli nel golfo di Follonica – era stato prodotto a Grosseto nell’impianto di Futura Spa, lavorando i rifiuti urbani indifferenziati (Rui) lì conferiti dall’Ato rifiuti Toscana sud. Combustibile solido secondario made in Maremma che a seguito della fobia da termovalorizzatori – locale, regionale e nazionale – viene “ecologicamente” inviato via nave in Bulgaria, per essere utilizzato come combustibile nel cementificio della città di Varna. Peraltro quasi tutti i cementifici italiani, sui quali non sono accesi i riflettori come su inceneritori e termovalorizzatori, utilizzano Css come combustibile per i propri cicli produttivi.
La morale, in questo come in altri casi, è quella della cosiddetta sindrome di “Nimby” – not in my backyard. Che poi significa: basta non sia nel mio cortile di casa. Ovverosia, purché non si veda. Quindi non si sappia.
Eppure la provincia di Grosseto con sei milioni di presenze turistiche – ma in generale la Toscana – produce una delle quote più alte di rifiuti pro-capite in Italia: circa 600 kg a testa. L’impianto di Futura Spa, in località Strillaie, ad esempio (basta guardare sul sito internet), nel 2018 ha lavorato 112.013 tonnellate di Rui (rifiuto urbano indifferenziato), 15.656 tonnellate di Forsu (organico da raccolta differenziata) e 4.875 tonnellate di rifiuti verdi (sfalci e potature da differenziata).
Limitandoci ai rifiuti urbani indifferenziati (Rui) passati per il trattamento meccanico biologico (Tmb), si può verificare che sono state ricavate 42.095 tonnellate di frazione organica stabilizzata (Fos) inviate in discarica. Metalli ferrosi e non per 3.687 tonnellate, inviate a recupero. Combustibile solido secondario (Css) per altre 34.185 tonnellate, destinate a recupero energetico; di cui 20.771 andate all’estero. Circa 32.000 tonnellate di sovvalli e scarti da Tmb spedite in discarica. Semplificando, dell’indifferenziata conferita all’impianto di Futura, il 33,8 % è stato destinato al recupero – 37.872 tonnellate. Di cui 20.771 sono andate all’estero – e il 66,2% invece in discarica.
Si dirà che se il sistema di trattamento dei rifiuti fosse diverso, la quota di recupero e riciclo sarebbe molto maggiore. Ergo quella in discarica molto minore. Peraltro, recita l’adagio, «con i “Se” e con i “Ma” la storia non si fa», e oggi vanno fatti i conti con quel che c’è. Tuttavia. Anche funzionasse il migliore dei sistemi di differenziazione – e non è così – a conclusone del ciclo di recupero e riciclo rimarrebbe comunque un 20% di scarti da incenerire. Oltre alla considerazione che già oggi, anche dove si selezionano meglio materiali da destinare al riciclo come la plastica o la carta, una bella quota finisce lo stesso in discarica perché i prodotti non hanno mercato a causa dei costi troppo alti. Per non tenere conto del fatto che, addirittura, in alcuni casi le materie prime costano meno dei loro sostituti.
Tutto ciò premesso, i Rui sono solo il minore dei problemi. Perché essi rappresentano il 20-25% dei rifiuti totali. I tre quarti abbondanti dei quali sono rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi. Per una bella fetta di questi l’incenerimento e la termovalorizzazione – con moderne, sicure e pochissimo inquinanti tecnologie disponibili – rimarrebbero la destinazione naturale. Non dipenderà dal destino cinico e baro, infatti, se nei Paesi notoriamente a più spiccata vocazione ambientale i termovalorizzatori sono molto diffusi per smaltire rifiuti, producendo energia elettrica e termica.
Ad ogni modo, oggi l’andazzo è questo. L’ecologicissima Maremma manda in giro per il mondo (meno avanzato) 20.771 tonnellate di combustibile realizzato coi propri rifiuti. 65 tonnellate del quale finite sui fondali del golfo di Follonica. Oltretutto con un bilancio ambientale disastroso, considerando il trasporto via camion e poi via mare fino alla Bulgaria. Essendo peraltro in ottima compagnia. Di queste settimane l’accordo tra comune di Roma – dove l’ecologicissima sindaca Raggi non vuole fare inceneritori – e i gestori degl’impianti d’incenerimento di Massarosa (Viareggio) e Massa. Con camion da 25 tonnellate che movimenteranno dal Lazio alla Toscana 13.000 tonnellate di sudicio capitolino. Oppure, per dirne un’altra, le imprese toscane della concia delle pelli e del cartario che in assenza d’impianti in Italia, spedivano tutto in Cina; finché i cinesi hanno chiuso l’importazione perché ne avevano abbastanza di loro. O, ancora, come nel recente passato hanno fatto gl’inceneritori di A2A che recepivano a 400 euro a tonnellata i rifiuti napoletani – perché gli ecologicissimi campani non vogliono inceneritori.
Insomma l’ipocrisia regna sovrana in ogni angolo del Belpaese, e la Maremma non fa eccezione. Con tutte le forze politiche – trasversalmente e con sprezzante senso del ridicolo – giocano più parti in commedia, opponendosi coi proclami agli inceneritori oppure facendo i responsabili. A seconda che governino o siano all’opposizione. Che abbiano il problema in casa o meno.
A proposito. Nel frattempo a Scarlino, la società proprietaria dell’impianto d’incenerimento, a dicembre ha presentato in regione una richiesta di revamping totale. Con la costruzione di un nuovo forno di ultima generazione. La Regione ha chiesto integrazioni, che verranno fornite. Poi due mesi per le osservazioni. Infine la decisione tecnica: sì o no. Nel frattempo, casualmente, interverranno le elezioni regionali. E chiunque vincerà avrà il tempo per non decidere prima.
Potrebbe essere l’occasione per costruire una filiera di green economy vera, che chiuda un pezzo di ciclo integrato dei rifiuti. Rifiuti che la Toscana non sa più dove mettere. Dopo le elezioni finirà il tempo dei balletti, per tutti. Perché anche dall’opposizione non si potrà semplicemente lavarsi le mani dei problemi del sistema produttivo regionale. Ci sarà da divertirsi.
Intanto i pesci del golfo di Follonica, per l’ignavia degli uomini, familiarizzano con la plastica del Css. Chissà che non decidano d’incenerirli.