Il Tirreno, Cronaca Toscana
La densità è di 1,9 milioni di frammenti per metro quadro
Si trova in profondità fra Lazio, Toscana, Sardegna e Corsica
Federica Scintu
La “zuppa di plastica” del mar Tirreno è composta da 1,9 milioni di microscopici frammenti per metro
quadrato depositati nelle acque più profonde. Arriva soprattutto dalle nostre lavatrici quando laviamo le felpe
di pile o le tute da ginnastica in acrilico. Non la vediamo a occhio nudo mentre nuotiamo o durante una gita
in barca: è come un tappeto “appoggiato” negli abissi del mare, una zona tutt’altro che sterile e anzi, come
spiega Umberto Mazzantini, responsabile di Legambiente per l’arcipelago toscano, «proprio lì dove nasce la
vita». Un dato drammatico che emerge da due studi pubblicati sulla rivista Science e che portano la firma di
alcune delle più autorevoli università al mondo: il primo dell’università di Washington, il secondo – che mette
al centro il mare di casa nostra – condotto dalle università di Manchester, Durham e Brema insieme al centro
oceanografico britannico (Noc) e all’istituto francese di ricerca per lo sfruttamento del mare (Ifremer).
L’analisi è impietosa e quello dei fondali del mar Tirreno è un triste primato: è infatti fra la Toscana, il Lazio,
la Sardegna e la Corsica – area già presa in esame quale spot della ricerca in superficie – che è
presente la più alta concentrazione di microplastiche mai misurata prima. «Gli studi sono una conferma –
spiega Mazzantini – che la “zuppa di plastica” fra Corsica, Sardegna, Lazio e Toscana ha una densità
importante. Noi ci concentriamo sulla plastica che vediamo sulla spiaggia o nella superficie dell'acqua e
invece il 90% è depositato nel fondo». Dallo studio emerge anche che le plastiche non si depositano in
maniera uniforme ma prediligono aree specifiche a causa del correnti marine profonde che le trasportano
insieme a ossigeno e nutrienti. Questo ovviamente aumenta il rischio che gli organismi marini possano
ingerirli. «Il mar Tirreno è molto dinamico – spiega Mazzantini – le microplastiche si accumulano di più nei
fondali perché c’è la risalita di acque fredde e il fatto che il Tirreno produca molta biomassa, caratteristica
che attrae i cetacei, in questo caso da vantaggio diventa un rischio vista la quantità di plastica presente. Il
mar Mediterraneo – continua – essendo un mare piccolo è anche molto inquinato. Però ad esempio non
abbiamo l’inquinamento da petrolio che c’è in altri mari». Ma da dove arrivano le microplastiche che poi si
depositano anche a migliaia di metri di profondità? Mazzantini spiega che il ‘veicolo’ principale sono i fiumi.
«Nel caso della Toscana – aggiunge – è l’Arno (pisano, fiorentino e aretino) il vettore principale di
microplastiche perché è il fiume più grande. Nel Lazio è possibile che sia il Tevere ad esempio. Le
microplastiche analizzate, come riporta lo studio, comprendono prevalentemente fibre di tessuti e
abbigliamento sintetico che si disperdono tutte le volte che facciamo la lavatrice. La stima è che a ogni
lavaggio si ‘stacchino’ dagli indumenti circa 500mila microparticelle». In merito a questo aspetto, lo studio
spiega anche che le microparticelle tessili «non vengono efficacemente filtrate negli impianti domestici di
trattamento delle acque reflue riuscendo a penetrare facilmente nei fiumi e negli oceani. Nell’oceano si
stabiliscono lentamente o possono essere trasportati rapidamente da episodi di torbidità – potenti valanghe
sottomarine – che viaggiano lungo i canyon sottomarini fino al fondo del mare profondo. Una volta nel mare
profondo, le microplastiche vengono prontamente raccolte e trasportate da correnti a fondo continuo
(‘correnti di fondo’) che possono concentrare preferibilmente fibre e frammenti all’interno di grandi derive di
sedimenti». Secondo Mazzantini però anche i frammenti di plastica monouso ci sono ma, a differenza delle
fibre tessili, «sono più difficili da individuare durante le analisi». Ecco perché, il suo consiglio, data
l’impossibilità al momento di poter rimuovere le microplastiche depositate in profondità è quello di «ridurre il
più possibile l’utilizzo di plastica monouso». «I dati di questo studio sono drammatici – conferma – ma
attendibili. La plastica monouso non ce la possiamo più permettere e anche le bioplastiche sono un
palliativo. Questa è una peste che infesta tutti i mari, non solo il Mediterraneo. Mi domando quale sia il livello
di microplastiche presenti davanti alle grandi metropoli come Hong Kong oppure cosa trasportino fiumi più
grandi dell’Arno…».