Greenreport
Nel 2020 la raccolta differenziata continua a crescere ma meno del riciclo
La pandemia fa diminuire i rifiuti urbani, eppure l’export continua a crescere
Ispra, mancano gli impianti: «Non tutte le regioni dispongono di strutture sufficienti a trattare i quantitativi prodotti»
Di Luca Aterini
Per la prima volta da molto tempo, l’Italia nel 2020 ha sperimentato una sensibile riduzione nei rifiuti urbani generati, con un dato che si è assestato a quota 28,9 milioni di tonnellate secondo quanto documentato oggi dall’Ispra nel suo nuovo report in materia.
Si tratta di un calo del 3,6% sul 2019, assai meno marcato rispetto a quanto stimato un anno fa dalle aziende di settore, e soprattutto di gran lunga inferiore rispetto a quello del Pil e delle spese delle famiglie (rispettivamente -8,9% e -11,7%), con un disallineamento che scombina anche i parametri previsti dal vecchio Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti.
Il dato resta legato all’eccezionalità della pandemia, ma getta comunque nuova luce sulle dinamiche che attraversano questa frazione minoritaria – i rifiuti speciali pesano 154 mln di ton l’anno (2019), il quintuplo rispetto agli urbani – ma visibilissima dei nostri rifiuti.
A non cambiare, anche nel bel mezzo della crisi sanitaria, è stato l’impegno profuso dalle società attive nella raccolta rifiuti. Nel 2020 la differenziata è cresciuta dell’1,8% arrivando al 63% della produzione nazionale – ancora lontano da quel 65% che per legge avremmo dovuto traguardare entro il 2012 –, con l’organico che si conferma la frazione più raccolta in Italia (39,3% in peso).
Prima ancora della quantità, è però la qualità del raccolto a preoccupare. Proprio l’organico, ad esempio, mostra un leggero ma costante peggioramento della qualità della raccolta, a causa di conferimenti errati da parte dei cittadini. E se questo era un problema per gli impianti di compostaggio, secondo il Consorzio italiano compostatori (Cic) lo è molto di più per quelli che fanno affidamento sulla più avanzata digestione anaerobica, tanto che per ogni punto di materiale non compostabile che arriva negli impianti l’overcost è intorno a 50 milioni di euro a livello nazionale (e possiamo avere addirittura un 15%), suggerendo la necessità di adeguate campagne di comunicazione alla cittadinanza.
Secondo Ispra una delle maggiori problematiche, sino ad oggi riscontrate presso gli impianti, riguarda la «presenza di scarti costituiti da materiali plastici» nell’organico.
Specularmente anche la raccolta differenziata degli imballaggi in plastica, che pure vede la crescita maggiore tra le varie frazioni nel 2020 (+4,4%), è gravata da numerosi problemi: non a caso «il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) prevede fondi per il potenziamento dei sistemi di riciclaggio della plastica mediante riciclo meccanico e chimico in appositi “Plastic Hubs”».
In ogni caso non si tratta di difficoltà circoscrivibili solo a un paio di frazioni di rifiuti, tanto che l’Ispra parla di «un progressivo allargamento della forbice tra la percentuale di raccolta differenziata e tassi di riciclaggio». Se la differenziata è arrivata infatti al 63% (+1,8% sul 2019), il riciclo effettivo arranca al 54,4% (stimato secondo la metodologia di calcolo 2 dell’Ispra) con un miglioramento dell’1,1% rispetto al 2019.
Si tratta di un andamento che riflette una strutturale carenza d’impianti e politiche industriali di settore: «L’aumento della raccolta differenziata ha determinato negli anni una crescente richiesta di nuovi impianti di trattamento, soprattutto per la frazione organica, ma non tutte le regioni dispongono di strutture sufficienti a trattare i quantitativi prodotti», spiegano nel merito dall’Ispra.
Un andamento che si specchia nei dati presentati oggi. Gli impianti di gestione dei rifiuti urbani, operativi nel 2020 sono 673 – le discariche sono 131 e gli inceneritori 37 –, in crescita rispetto ai 658 censiti nel 2019 ma ancora fortemente disomogenei sul territorio: 359 al Nord, 120 al Centro e 194 al Sud, alimentando il conseguente turismo dei rifiuti. Per non parlare di quelli che finiscono all’estero.
Nel 2020 l’Italia ha esportato infatti 581mila tonnellate di rifiuti urbani, in crescita del 13% rispetto al dato 2019 (a sua volta salito del 10,8% sul 2018), con in prima fila Campania e Lazio. «I rifiuti prevalentemente inviati fuori dai confini nazionali sono quelli prodotti dal trattamento meccanico (31,5% del totale esportato) destinati in Spagna, in Portogallo e in Austria, seguiti dal combustibile solido secondario (20%) destinato all’isola di Cipro, in Portogallo, in Austria e in Ungheria», mostrando un sostanzioso gap soprattutto nel gestire il recupero energetico di rifiuti non riciclabili. A tutto vantaggio della discarica.
Nonostante un calo nel ricorso alla discarica del 56% nell’ultimo decennio, infatti, nel 2020 ancora il 20% dei rifiuti urbani è stato sotterrato (-7,4% sul 2019) mentre solo il 18% è stato termovalorizzato (-3,6% sul 2019).
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