Greenreport
L’Italia esporta rifiuti per 4,2 mln di tonnellate l’anno: mancano gli impianti e il mercato
Barberi: «Introdurre strumenti efficaci come gli incentivi fiscali (ad esempio con Iva agevolata) per rendere competitivi i materiali riciclati»
Di Luca Aterini
Assoambiente ha presentato oggi a Roma il rapporto L’Italia che ricicla, da cui ancora una volta emerge un quadro in chiaroscuro per la gestione dei nostri rifiuti.
Ad un’occhiata superficiale è facile cullarsi tra le note positive: il nostro Paese si colloca addirittura al «primo posto a livello europeo per tasso di avvio al riciclo dei rifiuti (sia urbani che speciali), rispetto al totale gestito. Il dato italiano, pari all’83,2% (riferito al 2020, ultimi dati disponibili), è decisamente superiore non soltanto alla media Ue (39,2%), ma anche rispetto ai maggiori Paesi dell’Unione: Spagna (60,5%), Francia (54,4%) e Germania (44%)».
Significa dunque che oltre l’83% di tutti quanti i rifiuti che generiamo annualmente – 175,9 mln di tonnellate nel 2020, tra urbani e speciali – vengono effettivamente riciclati che la nostra economia è circolare per oltre l’80%? Purtroppo no.
In primo luogo perché la certezza dell’informazione in quest’ambito è ancora un’utopia, soprattutto per quanto riguarda i rifiuti speciali, che da soli pesano per 147 mln di ton. Si prenda i rifiuti da costruzione e demolizione, il flusso in assoluto più significativo (45,1% degli speciali) nel nostro Paese: ad oggi, secondo i dati Ispra circa il 78% di questi rifiuti inerti viene recuperato, anche se con tutta probabilità il dato “reale” è ben più basso. Come spiega infatti Legambiente nel Rapporto cave 2021, il 78% riportato da Ispra «indica solamente che questi rifiuti sono passati, e quindi sono stati registrati, in un apposito impianto. Si tratta quindi di materiali recuperati ma poi stoccati senza alcun reimpiego effettivo. Purtroppo la verità è che gran parte dei rifiuti da C&D non è dichiarata e viene ancora oggi abbandonata illegalmente sul territorio. Anche perché nelle statistiche ufficiali solo le imprese di una certa dimensione vengono incluse».
Ma anche soffermandoci sul quadro tracciato dai dati ufficiali, i progressi da fare non mancano: «Guardando al tasso di circolarità dei materiali, che misura la quota di materiale riciclato e reimmesso nell’economia nell’uso complessivo dei materiali – ricordano da Assoambiente – l’Italia, con il 21,6%, si colloca poco sotto il primato della Francia (22,2%) e comunque sopra la Germania (13,4%) e la Spagna (11,2%) e, più in generale al di sopra della media Ue (12,8%). Un trend in decisa crescita, se si tiene conto che tale indicatore si attestava al 12,6% solo 9 anni fa».
Ciò non toglie che ancora oggi solo il 21,6% della nostra economia è davvero circolare; il resto del metabolismo economico – che nel 2020 ha digerito qualcosa come 444 mln di ton di materie prime, in larga parte esportate – arriva dal consumo di risorse naturali vergini.
E qui finiscono le note “positive”. Molto resta da fare «a partire dall’impiantisca – sottolineano da Assoambiente – Se la Germania con ben 10.497 impianti attivi è leader a livello europeo, l’Italia si colloca al secondo posto, con 6.456 impianti di recupero di materia, seguita dalla Spagna con 4.007 impianti. Un dato all’apparenza positivo, ma caratterizzato da un elevato numero di impianti di medio-piccola dimensione e per lo più collocati nel centro-nord del Paese, nello specifico nelle regioni in cui il comparto manifatturiero risulta particolarmente attivo e in cui i materiali recuperati possono facilmente essere reintegrati: nella sola Lombardia è presente il 22% dell’impiantistica nazionale dedicata al recupero di materia».
Non a caso nel 2020 sono state esportate dall’Italia «oltre 3,6 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, di cui quasi 2,4 milioni di speciali non pericolosi e più di 1,2 milioni di speciali pericolosi, e poco più di 581mila tonnellate di rifiuti urbani, per un totale di 4,2 milioni di tonnellate di rifiuti», per la maggior parte (2,5 mln di ton) avviata a riciclo altrove.
Come cambiare rotta? Occorre puntare su «opportune leve incentivanti e di investimento impiantistico», ovvero realizzare sul territorio i nuovi impianti necessari per chiudere l’intero ciclo di gestione rifiuti – perché non riguardano solo il riciclo, ma anche la gestione degli scarti non riciclabili, compresi i rifiuti provenienti dalla gestione di altri rifiuti – e al contempo incrementare il mercato dei beni riciclati attraverso incentivi (come una riduzione dell’Iva) e domanda pubblica (Gpp).
«In tal senso – commenta Paolo Barberi, vicepresidente di Assoambiente – è fondamentale che venga adottata compiutamente e celermente la strumentazione economica prevista dalla Strategia nazionale per l’economia circolare, a partire dall’introduzione dei Certificati del riciclo, oltre a strumenti efficaci come gli incentivi fiscali (ad esempio con Iva agevolata) per rendere competitivi i materiali riciclati rispetto alle materie prime vergini. Altro intervento di fondamentale importanza è l’adozione in tempi brevi delle norme tecniche che dovrebbero regolamentare il settore favorendo la creazione di un mercato stabile e trasparente, siano esse relative all’End of waste, ai sottoprodotti, o ai Criteri ambientali minimi per le gare pubbliche. Infine, va rafforzata e resa effettiva la domanda pubblica di prodotti riciclati».