Il Sole 24 Ore
AMBIENTE
L’industria esce dalla Tari Smaltimento ai privati per tutti i rifiuti prodotti
Alessandro Galimberti
Con il decreto legislativo 116 del 2020, che recepisce la disciplina europea e che entrerà in vigore dal prossimo gennaio, il reparto industriale si emancipa dalla Tari, mettendo fine ad anni di problematiche interpretazioni delle norme e a oggettive discrepanze di applicazione tra Comuni anche finitimi.
I rifiuti si distinguono in due categorie: quelli prodotti a livello domestico/urbano e quelli prodotti dalle imprese. Per effetto di una disciplina europea risalente, i rifiuti urbani possono essere gestiti anche tramite privativa pubblica (cioé le società municipalizzate) mediante ovviamente l’imposizione di una tassa, la Tari. I rifiuti prodotti dalle imprese invece sono oggetto di libero mercato, quindi le aziende devono rivolgersi a operatori autorizzati – privati – che svolgono attività di ritiro, trasporto, riciclo, recupero e smaltimento. È anche grazie a questa disciplina se l’Italia è in posizione di avanguardia in Europa nel campo della economia circolare.
Ma in queste norme, all’apparenza così chiare, si è nascosta per anni una zona grigia. Infatti nonostante la separazione netta degli ambiti, fino all’emanazione del citato dlgs 116/2020 le imprese italiane sono state di fatto agganciate alla Tari – che pagano obbligatoriamente, talvolta non beneficiando neppure del servizio pubblico per assenza dello stesso o perché lo smaltimento è già del tutto in carico a operatori privati – grazie alla cosidetta « assimilazione» dei rifiuti delle imprese a quelli urbani. A decidere cosa assimilare o meno, peraltro, sono stati finora gli stessi Comuni, mediante proprio regolamento, dando luogo quindi a una disciplina a macchia di leopardo sul territorio (con implicazioni tra l’altro anche sulla corretta concorrenza tra imprese, per esempio, basate su comuni diversi e con regole diverse).
In questo modo l’industria ha, di fatto, sussidiato per anni un servizio pubblico che non ha ricevuto, perché talvolta neppure previsto dai Comuni per le aree industriali o perchè comunque eccedente rispetto al servizio già affidato agli operatori privati.
La norma appena pubblicata in Gazzetta Ufficiale, facendo chiarezza definitoria, esclude che impianti e capannoni industriali producano rifiuti urbani e che per questo possano rientrare nel campo di applicazione della tariffa.
Resta però difficile capire perchè si sia persa l’occasione per introdurre criteri qualitativi e quantitativi per la definizione degli “urbani”. E, sullo sfondo, rimane ancora più evidente che lo smarcamento dell’industria dalla tassa sui rifiuti aprirà un solco nei bilanci degli enti locali: circa 1/6 degli incassi relativi, stando a fonti interne, deriverebbe dalla raccolta sul soggetto d’imposta che è stato depennato.