L’economia circolare non è la sola gestione dei rifiuti, ma il Pnrr non sembra accorgersene

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L’economia circolare non è la sola gestione dei rifiuti, ma il Pnrr non sembra accorgersene

Greenreport

L’analisi dal Circular economy network

L’economia circolare non è la sola gestione dei rifiuti, ma il Pnrr non sembra accorgersene

Vigni: «Nella attuazione del Pnrr il governo dovrà dimostrare di averne piena consapevolezza, orientando verso l’economia circolare anche gli strumenti di politica industriale, a partire da Transizione 4.0, gli investimenti per la ricerca e il trasferimento tecnologico»

Una sfida di importanza epocale. Questo è, per l’Italia, il Piano nazionale di ripresa e resilienza. E per una volta usare l’aggettivo “epocale” non è un’esagerazione. In quanto principale beneficiario dei finanziamenti messi in campo dall’Unione Europea, il nostro Paese ha un’occasione imperdibile per una ripresa ambientalmente sostenibile e socialmente giusta. E per la stessa ragione è evidente che dall’efficacia delle misure contenute nel Piano italiano dipende, in misura non irrilevante, anche il successo del Recovery Plan europeo e del Green Deal, di cui l’economia circolare è parte integrante.

Prima ancora di esaminare le singole misure contenute nel Pnrr, però, va detto che la lettura del Piano rivela, in diverse sue parti, una visione ancora troppo riduttiva dell’economia circolare. Quasi come se si stesse parlando solo di gestione dei rifiuti e di riciclo. Mentre l’economia circolare è molto, molto di più. È una sfida che riguarda il sistema economico nel suo insieme, dalla produzione al consumo. È una transizione da cui dipendono la produttività e la competitività dell’industria italiana ed europea. È una strategia che richiede una incisiva politica industriale, come ha ribadito il Parlamento europeo affermando che l’economia circolare deve essere “l’elemento centrale della politica industriale europea e dei piani nazionali di ripresa e di resilienza degli Stati membri”. Nella attuazione del Pnrr il governo dovrà dimostrare di avere piena consapevolezza di tutto ciò, orientando verso l’economia circolare anche gli strumenti di politica industriale, a partire da “Transizione 4.0”, e gli investimenti per la ricerca e il trasferimento tecnologico.

Gli investimenti

Per la transizione ecologica sono previsti nel Piano circa 69 miliardi, mentre agli interventi specifici relativi alla componente “economia circolare” vanno 2,1 miliardi. Di questi, 1,5 miliardi sono finalizzati alla realizzazione e all’ammodernamento di impianti per il trattamento e il riciclo dei rifiuti, per “colmare i divari relativi alla capacità impiantistica e agli standard qualitativi esistenti tra le diverse regioni” e “raggiungere gli obiettivi previsti dalla normativa europea e nazionale”. Altri 600 milioni sono invece destinati a “progetti faro” per sviluppare il riciclo di particolari flussi di materiali, tra cui i Raee, le plastiche, la carta, i rifiuti tessili.

Sono poche, queste risorse? Certo, se rapportate a quanto necessario per far fronte al fabbisogno impiantistico nazionale appaiono insufficienti, tanto più che si sta parlando solo di rifiuti urbani. Ma si deve tener conto di alcune cose. Primo: gli investimenti per gli impianti, se funzionali al servizio pubblico locale, possono essere coperti anche dal sistema tariffario. Secondo: la mancanza di impianti spesso dipende, più che dalla mancanza di finanziamenti, da ostacoli di diversa natura: incapacità decisionali degli amministratori locali, difficoltà autorizzative e lentezze burocratiche, per non parlare delle sindromi nimby e nimto. Inoltre, è bene ricordarlo, stiamo parlando di impianti da progettare, autorizzare e completare al massimo entro 5 anni: un po’ di sano realismo non guasta, per utilizzare queste risorse si dovrà comunque correre.

Vi sono anche ulteriori interventi, in altri capitoli del Pnrr, che possono contribuire allo sviluppo dell’economia circolare. È il caso, ad esempio, dei finanziamenti previsti per il biometano (1,9 mld). Ma il punto cruciale è soprattutto quello che riguarda il piano “Transizione 4.0”. Come si diceva, è il principale strumento di politica industriale. Prezioso per supportare gli investimenti delle imprese in direzione sia della transizione digitale che della transizione ecologica. Le norme attualmente in vigore prevedono esplicitamente – sulla base del D.M. attuativo del 20 maggio 2020 – che le imprese possono beneficiare del credito di imposta, fino a tutto il 2022, anche per tutta una serie di investimenti finalizzati all’economia circolare, tra cui l’ecodesign, l’uso efficiente dei materiali, la simbiosi industriale.

Qual è il problema, allora? La preoccupazione nasce dal fatto che da nessuna parte nel Pnrr, laddove si parla di Transizione 4.0, si fa esplicito riferimento all’economia circolare. Inoltre, rispetto alla precedente bozza di Pnrr presentata a gennaio, le risorse per l’attuazione del piano “Transizione 4.0” si sono ridotte da 19 a 14 miliardi, mentre sarebbe auspicabile una proroga degli incentivi anche oltre il 2022. È necessario dunque che il governo fughi ogni dubbio, confermando e possibilmente rafforzando gli incentivi rivolti alle imprese che innovano i processi industriali secondo i principi dell’economia circolare.

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