La Nazione – Rinascimento 3.0
L’economia circolare lancia la rivoluzione usa e ricicla
La sostenibilità passa dalla capacità di recuperare i materiali
di Elena Comelli
MILANO Non più usa e getta, ma usa e ricicla. Dopo la rivoluzione dei prodotti monouso, partita dalle lamette Gillette all’inizio del secolo scorso e oggi estesa a vaste fette del mercato dei beni di consumo, il pendolo torna indietro, verso l’economia circolare. La popolazione mondiale cresce al ritmo di 80 milioni di individui all’anno e potrebbe toccare gli 11 miliardi alla fine di questo secolo, dai 7,6 miliardi di oggi. L’ascesa sociale delle fasce meno abbienti è ancora più rapida: da qui al 2030 ben 3 miliardi di nuovi consumatori entreranno nella classe media e spingeranno la domanda di beni e servizi a livelli senza precedenti. Negli ultimi 60-70 anni, la specie umana e i suoi consumi sono esplosi: gli scienziati la chiamano la Grande Accelerazione. In questo breve lasso di tempo, non più lungo della vita di una persona, la popolazione mondiale è cresciuta del 180%, i consumi di acqua del 215% e quelli di energia del 375%. La concentrazione di metano nell’atmosfera è raddoppiata e quella di anidride carbonica è aumentata del 30%, a livelli mai visti negli ultimi 400mila anni. La concentrazione di azoto e fosforo nel terreno è raddoppiata per l’uso estremo di fertilizzanti. L’erosione del suolo dovuta all’agricoltura, alle costruzioni e alle dighe è aumentata di dieci volte rispetto ai ritmi naturali. La coperta delle risorse, dunque, è sempre più corta, perciò il sistema industriale deve ripensare i suoi modelli di produzione, in modo da entrare nel circolo virtuoso dell’economia rigenerativa, che trasforma i rifiuti in una risorsa. Mantenere il modello lineare, nella logica seguita finora di scavare, confezionare, consumare e buttare, significa confrontarsi con una sempre maggiore scarsità delle materie prime, che già oggi manifestano una preoccupante volatilità dei prezzi, con un incremento medio del 150% nell’ultimo decennio. Nel frattempo, però, i saperi si sono persi, la nonna non è più capace di rammendare i calzini e il riso non si compra più sfuso nei sacchi al mercato. Bisogna ricominciare daccapo – facilitati dalle nuove tecnologie e dai nuovi materiali – a imparare le buone pratiche, partendo dalla fine vita dei prodotti e non dalla facilità di consumo, sia nei processi industriali che negli acquisti al supermercato: è un impegno ormai richiesto dagli standard sempre più stringenti imposti all’industria, ma anche ai consumatori, che possono votare con il portafoglio per i marchi più virtuosi. Da qui, l’attualità dell’economia circolare. Le scuole di pensiero per arrivare alla circolarità sono varie, ma l’obiettivo è lo stesso: far rientrare nel cerchio della vita quelli che oggi si considerano scarti. Il modello Cradle to Cradle (dalla culla alla culla, invece che dalla culla alla tomba) è storicamente il primo sistema di questo tipo, concepito dal visionario chimico tedesco Michael Braungart già negli anni Ottanta, per la riconversione dei processi industriali da lineari a circolari. Chi entra nell’ottica della produzione rigenerativa deve creare dei prodotti senza sostanze tossiche, che si possano facilmente disassemblare per riutilizzare i materiali tecnici di cui sono costituiti, mentre i materiali organici ritornano alla terra. Non è un percorso facile, perché bisogna ristrutturare i processi produttivi e costruire una nuova catena di approvvigionamento, in cui tutti i materiali usati per i nuovi prodotti abbiano già avuto una vita precedente. Centinaia di aziende, in questi anni, hanno ottenuto la certificazione C2C per determinati prodotti, seguendo un processo di riconversione rigorosa, che ha portato i suoi frutti. Ora si tratta di colmare il divario fra idea e azione, anche attraverso le normative europee, che a partire dal 2000 hanno integrato il concetto di fine dei rifiuti. «La produttività delle risorse nell’Ue è cresciuta del 20% nel periodo 2000-2019» si legge nella comunicazione «Verso un’Economia Circolare», prodotta dalla Commissione Europea. «Se questa evoluzione si manterrà costante, entro il 2030 avremo un ulteriore aumento del 30%, corrispondente a un incremento del Pil quasi dell’1% e alla creazione di oltre 2 milioni di posti di lavoro in più rispetto allo status quo». Obiettivi ambiziosi, a cui il sistema produttivo europeo deve prepararsi.