La Repubblica
Fino all’11 novembre a Rimini
Le imprese si schierano: la transizione ecologica è necessaria al rilancio
Un’indagine presentata oggi all’apertura di Ecomondo per gli Stati generali della green economy rileva che più di 8 aziende su 10 sostengono che il rinnovamento è indispensabile
DI ANTONIO CIANCIULLO
È stato un triennio micidiale: pandemia, guerra in Europa, aumenti choc dei prezzi di energia e materie prime, accelerazione della crisi climatica. Abbiamo bisogno di ripartire, ma come? Siamo di fronte a un bivio. C’è chi vuole frenare tornando ai combustibili fossili e chi vuole accelerare il passaggio a rinnovabili, efficienza, economia circolare. A Ecomondo, l’appuntamento annuale alla Fiera di Rimini degli imprenditori della green economy che si apre oggi, le imprese sollecitano una scelta netta: il rilancio basato sulla transizione ecologica. È quanto emerge dall’indagine – realizzata dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile e da EY – che viene presentata oggi a Rimini, agli Stati generali della green economy. L’analisi è basata su un campione di 1.000 imprese rappresentative del sistema produttivo italiano (piccole, medie e grandi aziende, vari settori). Ne viene fuori il quadro di una svolta economica possibile, conveniente e rapida, ma ostacolata da una palude burocratica, dalla scarsa informazione, dalla mancanza di visione del futuro.
Più di 8 aziende su 10 dichiarano che la transizione ecologica è un cambiamento necessario per affrontare crisi climatica e scarsità di risorse puntando su un futuro migliore. Il 76% ritiene che questo sia l’interesse non solo della propria azienda ma del Paese: l’Italia dovrebbe essere fra i promotori della transizione ecologica per guadagnare posizioni all’interno del gruppo delle economie avanzate. Non si tratta di dichiarazioni al futuro. La maggior parte degli imprenditori intervistati è già passata all’azione intervenendo sulla propria struttura per adeguarla alle necessità imposte dalla crisi climatica e dalla difficoltà di approvvigionamento di materie prime. Il 55% ha adottato misure per usare in modo più efficiente energia e acqua. E uno su tre sta valutando investimenti (ulteriori investimenti) sulle fonti rinnovabili.
Il sondaggio rivela un mondo imprenditoriale più reattivo di quello politico: il sistema Italia si muove lentamente. Nel 2021 la quota di rinnovabili sul consumo finale di energia invece di aumentare è diminuita: dal 20,4% del 2020 al 18,9% del 2021. E in questo 2022 che si avvia alla conclusione abbiamo realizzato per ora solo poco più di 2 dei 10 gigawattora di rinnovabili che dovremmo installare annualmente per rispettare gli impegni al 2030: probabilmente chiuderemo l’anno a circa un quarto dell’obiettivo fissato. Il risultato è la carenza dell’unica forma di energia prodotta in Italia di cui disponiamo in abbondanza: le rinnovabili. Un deficit che pesa sulle famiglie, strangolate da bollette appese alle oscillazioni del prezzo del gas, esu molte imprese, che potrebbero chiudere perché il costo dell’energia fa saltare i bilanci.
«La transizione ecologica è un processo necessario per affrontare la crisi climatica e il problema dell’energia. L’impegno delle imprese in questo campo è molto cresciuto e in particolare quelle che operano sui mercati esteri sono ben consapevoli che l’impegno su questo fronte è necessario per difendere e aumentare la loro competitività», commenta Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile.
È l’energia, infatti, a tenere banco in un appuntamento animato da 160 eventi e segnato dall’ansia per quotazioni che in estate hanno toccato record impensabili. L’altro elemento chiave è stato sottolineato dal presidente di Italian Exhibition Group, Lorenzo Cagnoni: «Ecomondo si presenta al compleanno del suo primo quarto di secolo con la stessa freschezza e creatività che hanno permesso a questa manifestazione di diventare un punto di riferimento tanto per la gestione dei rifiuti quanto per la bioeconomia circolare». Un’economia circolare che, su sollecitazione dell’Unione europea, vede nuovi segmenti di mercato. Ad esempio quello della moda e del tessile, un settore che in Italia vale circa 50 miliardi di euro. In mancanza di correzioni di rotta, nota la relazione sulla Green economy, «a livello mondiale arriveremo nel 2030 a buttare via 148 milioni di tonnellate di vestiti all’anno». Mentre se «adotteremo soluzioni di moda circolari, mantenendo i materiali di valore fuori dalle discariche, si aprirà un mercato da 500 miliardi di euro».
«Si tratta di cambiare la prospettiva, facendo assumere ai produttori la responsabilità dello smaltimento dei vestiti, come avviene per gli imballaggi», ricorda Eleonora Rizzuto,presidente dell’Associazione italiana per lo sviluppo dell’economia circolare. «Occorre creare la logistica necessaria e mettere a punto schemi di certificazione».
«Accelerare la transizione all’economia circolare è oggi più che mai necessario anche su un fronte strategico come quello delle materie prime critiche da cui dipende l’innovazione digitale», aggiunge Fabrizio Vigni, coordinatore del Circular economy network che agli Stati generali della green economy ha organizzato la sessione sull’economia circolare. «Prendiamo ad esempio il rame. Un recente rapporto di Standard& Poors prevede che la transizione energetica farà raddoppiare la domanda di questo minerale nei prossimi 12 anni e che la sua mancanza può compromettere l’innovazione necessaria a raggiungere gli obiettivi climatici. Aumentare il recupero degli apparecchi elettrici ed elettronici può dare una bella mano alla soluzione del problema».