Il Tirreno, Attualità
Nicola Pinna
La fogna che non si vede è nascosta dall’azzurro del Tirreno, al confine col paradiso dell’Isola d’Elba, alle spalle dell’isolotto dei Cerboli. La puzza che non si sente è dispersa a quasi sessanta metri di profondità, dove anche i pesci oramai si tengono alla larga. Un’immersione con la telecamera in pugno mostra i colori truci dei rifiuti dispersi su un fondale che ora rischia di essere compromesso. Quel che resta delle 56 ecoballe finite in acqua quasi 5 anni fa lentamente si sta disperdendo in mare. Giorno dopo giorno la contaminazione si allarga e milioni di rifiuti frantumati si allontanano tra le onde. La plastica che tratteneva questi grandi fagotti di immondezza compressa (un carico di 63mila chili) ha già ceduto alla forza delle correnti e dove un tempo c’erano praterie di posidonia ora si è creata una grande discarica sommersa. Per bonificare questo tratto di mare, a poche miglia dalla costa di Piombino, nel cuore del santuario dei cetacei, un lustro intero non è bastato. Dal giorno che la nave Ivy ha perso una parte dei veleni destinati al porto di Varna, nel Mar Nero, la burocrazia ha fermato un’operazione che si sarebbe dovuta svolgere con urgenza. E velocemente. Dell’incidente avvenuto al largo della Toscana, nel golfo di Follonica, si è scoperto solo quando il cargo, che batte bandiera delle Isole Cook, era già a destinazione. Delle ecoballe precipitate in mare, così hanno raccontato i componenti dell’equipaggio, nessuno si era reso conto prima. Da allora una grande quantità di veleni si è dispersa in mare e la bonifica rischia di iniziare troppo in ritardo. L’effetto dei soliti pasticci burocratici. Questa volta a complicare le cose è il decreto di nomina del commissario straordinario che avrebbe dovuto gestire l’emergenza. Sembra assurdo, ma sulla vicenda è stato addirittura aperto un procedimento per conflitto d’interessi da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm). Il caso è davvero paradossale. Il contrammiraglio Aurelio Caligiore, capo del Reparto ambientale marino delle Capitanerie di porto, avrebbe dovuto gestire con poteri eccezionali tutte le procedure necessarie a recuperare quel che resta delle ecoballe e a bonificare il fondale inquinato dal carico di veleni. Per questo, all’inizio di luglio 2019, gli è stato assegnato l’incarico di commissario straordinario del governo. Ma per la burocrazia la forma è sostanza. E così l’Agcm interviene subito, prima con una segnalazione e poi con un provvedimento ufficiale che ha tutte le caratteristiche dello stop. Quella nomina, secondo una legge del 1998, si configura come “incarico di governo” e così il ruolo del contrammiraglio risulta «non compatibile» con la sua posizione di ufficiale in servizio permanente del Corpo delle Capitanerie di porto.Il risultato è scontato: Aurelio Caligiore non può occuparsi delle ecoballe di Piombino, a meno che non si dimetta dall’incarico precedente, e così a fine gennaio tutto si blocca. «È abbastanza assurdo – protesta Umberto Mazzantini rappresentante della sezione di “Arcipelago toscano” di Legambiente – che si sia aspettato 4 anni per fare questa nomina e che poi si cada su un cavillo, tra l’altro su un atto firmato dal Presidente della Repubblica». Le correnti, nel frattempo, non fermano la loro azione quotidiana e così milioni di particelle di plastica invadono il golfo di Follonica e il Tirreno. «Il rischio – ripete preoccupata l’assessore all’Ambiente di Piombino, Carla Bezzini – è che durante la prossima stagione estiva una parte di quella discarica sommersa torni a galla e che finisca sulle nostre spiagge. Liberare l’arcipelago da deve essere una priorità».Come sia composta quella montagna di rifiuti ancora non si sa. Con chiarezza, finora, si è visto soltanto ciò che le correnti hanno riportato a galla. Il 24 agosto 2018, per esempio, due grandi involucri sono emersi d’improvviso e per capire quanto possa essere grave la situazione è bastato osservare i milioni di pezzi di plastica che si sfaldavano sotto il sole. Quelli depositati a più di 50 metri di profondità sono rifiuti urbani, così almeno ha sempre assicurato l’armatore della nave che ha causato il disastro, ma è probabile che nel fondale si siano dispersi anche materiali non compatibili con il paradiso marino al largo della Toscana. Per non parlare delle microplastiche che hanno già contribuito ad aggravare la situazione del Mediterraneo. «Si faccia in fretta a ripulire tutto – chiede da mesi Coldiretti, facendosi portavoce dei pescatori – Quella che c’è sott’acqua è una bomba +Per di più piazzata in una zona ad alta sensibilità, dove balene, delfini e tartarughe hanno trovato il rifugio ideale.