La sostituzione con articoli monouso in plastica compostabile non sarebbe coerente con la disciplina comunitaria

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La sostituzione con articoli monouso in plastica compostabile non sarebbe coerente con la disciplina comunitaria

Greenreport

Greenpeace Italia: rischio di recepimento al ribasso della Direttiva sulla plastica monouso

La sostituzione con articoli monouso in plastica compostabile non sarebbe coerente con la disciplina comunitaria

Secondo il rapporto “Dalla riduzione del monouso in plastica alla riduzione del monouso: indicazioni per il recepimento della direttiva SUP in Italia” di Greenpeace Italia, «Non stiamo andando nella giusta direzione, in Italia, per risolvere il problema della plastica. Se il recepimento della direttiva europea sulle plastiche monouso (SUP) avvenisse secondo i criteri attualmente previsti nella legge di delegazione europea 2019-2020, rischiamo di violare le indicazioni comunitarie. Risulta al momento permesso l’utilizzo di articoli monouso in plastica compostabile in alternativa agli articoli monouso in plastica per i quali la SUP prevede il divieto di immissione sul mercato (stovigliame). La direttiva vieta, però, di ricorrere a tali materiali».

Il rapporto redatto dall’ingegner Paolo Azzurro, consulente tecnico in materia di rifiuti ed economia circolare, per conto di Greenpeace Italia, esamina le azioni intraprese finora dal nostro Paese e quelle già adottate da altri Paesi nel quadro delineato dalle politiche europee.

Secondo Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia, «Se verrà confermato il forte sbilanciamento verso la sostituzione del monouso in plastica con alternative in materiale compostabile sembra difficile che tale recepimento sia accettabile dagli organi comunitari competenti. La maggior parte delle norme finora adottate in Italia, ha promosso e incentivato la sostituzione dei prodotti monouso realizzati in plastica tradizionale con prodotti monouso realizzati in bioplastica compostabile, anche laddove sarebbe stato possibile adottare misure in grado di superare il ricorso all’usa e getta».

Greenpeace evidenzia che «Limitare i danni delle plastiche sull’ambiente non vuol dire sostituire i materiali, spostando così gli impatti su altri comparti ambientali e lasciando inalterato il modello dell’usa e getta. Bisogna ridurre il ricorso al monouso, costruendo le condizioni economiche, fiscali e regolamentari per la diffusione e il consolidamento di modelli di business e di consumo basati sull’utilizzo di prodotti durevoli, riutilizzabili, sostenendo la vendita di prodotti sfusi».

Il rapporto fa notare che altri Paesi, a partire dalla Francia, «Hanno già adottato numerose misure volte a ridurre il consumo di prodotti in plastica monouso promuovendo la diffusione di prodotti e imballaggi riutilizzabili, inclusi bicchieri e tazze per bevande, contenitori per alimenti per il consumo sul posto e da asporto. Lo stesso per le bottiglie per bevande, settore nel quale l’Italia vanta il triste primato di primo paese in Europa (e il terzo nel mondo) per consumo di acqua minerale in bottiglia».

Azzurro evidenzia che «Il recepimento della Direttiva SUP in Italia dovrebbe darsi il chiaro obiettivo di favorire, promuovere e stimolare l’adozione di modelli, comportamenti e prassi operative che diano assoluta priorità ad azioni di prevenzione (eliminazione, riutilizzo) rispetto a quelle volte alla sostituzione dei prodotti in plastica monouso con altri prodotti monouso, ferma restando ovviamente l’esigenza di garantire le misure necessarie per salvaguardare la salute di operatori e consumatori».

Greenpeace sottolinea che «Il recepimento della Direttiva SUP entro il prossimo 3 luglio e gli investimenti sull’economia circolare previsti nel PNRR impatteranno profondamente sulla capacità del Paese di accelerare la transizione verso un modello economico circolare. Non sarà sufficiente, tuttavia, potenziare le infrastrutture di raccolta, trattamento e riciclo dei rifiuti. Servono interventi a monte della filiera, in grado di ridurre drasticamente il consumo di risorse naturali, la pressione esercitata dalle attività umane sugli ecosistemi e la produzione di rifiuti».

Ungherese  è convinto che «Il modello economico lineare può essere rotto dall’economia circolare, una delle direttrici alla base delle strategie europee e parte del  Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Tuttavia, l’interpretazione all’italiana di tale paradigma, contenuta nelle bozze redatte dal Governo circolate finora, sembra partire dall’assunto che il riciclo sia una pratica da perpetuare all’infinito. Partendo da questa errata convinzione il PNRR destina molte risorse alla costruzione di nuovi impianti di riciclo che, sebbene siano necessari in alcune aree del Paese, da soli non risolvono il problema di un sistema che produce valanghe di rifiuti.  Al contrario serve applicare una vera economia circolare che implichi condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento, prevenzione dei rifiuti e, solo alla fine, il riciclo. Insomma, si tratta di un nuovo modello di produzione e consumo che ha un unico grande obiettivo: far durare, il più a lungo possibile, i materiali naturali e avviarli a riciclo solo quando non è più possibile utilizzarli per essere trasformati, auspicabilmente, negli oggetti di partenza. Una strategia che cozza col crescente ricorso ad applicazioni usa e getta di cui la plastica ne è l’esempio più eclatante. Decine di imballaggi, flaconi, bottiglie e contenitori entrano quotidianamente nelle nostre vite e, stando ai numeri ufficiali, il sistema di recupero è in grado di riciclarne sono una parte, inferiore al 50%».

Per questo, Greenpeace Italia ha presentato 5 proposte concrete per uscire dall’usa e getta: «Incentivando col PNRR meccanismi come il riuso e la ricarica è immediatamente possibile ridurre i rifiuti prodotti con misure ad hoc sulla frazione monouso, e non solo, con:  1. l’introduzione di regimi di fiscalità agevolata per le aziende che ricorrono a sistemi basati sullo sfuso e sulla ricarica in modo da portare la quantità di beni venduti con tali modalità al 50 per cento entro il 2030.  2. l’introduzione di meccanismi rigorosi di responsabilità estesa del produttore per quei manufatti che oggi non hanno una seconda vita. 3. l’inserimento di obiettivi vincolati sulla riduzione dei consumi a monte, adottando alcuni dei recenti provvedimenti francesi che prevedono, entro il 2030, di ridurre del 50% l’immesso al consumo delle bottiglie in plastica, imballaggio di cui l’Italia è il maggiore utilizzatore, per quel che riguarda le acque minerali, nell’intero continente europeo. 4. evitando ulteriori rinvii per la Plastic Tax e destinando i proventi alle aziende che utilizzano nuovi modelli di business basati sullo sfuso e sulla ricarica. Si potrebbe inoltre allargare il raggio d’azione dell’imposta che prescinda dal tipo di materiale e includa tutte le applicazioni monouso. 5. l’impiego di risorse da destinare al tessile, uno dei settori chiave per il Made in Italy, comparto in cui il riciclo oggi è una chimera. Le linee guida europee per il PNRR chiedono agli stati membri di sviluppare degli hub di riciclo per le fibre tessili: è quindi un’occasione persa non sfruttare le competenze già presenti nei principali distretti tessili nazionali e l’approccio delle aziende del Consorzio Italiano Detox. A Draghi e Cingolani suggeriamo di destinare delle risorse a tali interventi, così riusciremo a disegnare un futuro sostenibile con meno rifiuti e meno inquinamento».

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