LA DISTANZA TRA UTOPIA E REALTÀ: IL PESO TARI PER I CONTRIBUENTI

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LA DISTANZA TRA UTOPIA E REALTÀ: IL PESO TARI PER I CONTRIBUENTI

Il Sole 24 Ore

Paola Coppola

Stiamo tutti consapevoli e confidenti che in questo grave momento di crisi economica, finanziaria e sociale, la politica sarà in grado risolvere, tra i tanti problemi, quello di ricomporre il divario che percepiamo tra realtà (la pandemia) e l’utopia (come uscirne presto) e che superi la frammentarietà, disorganicità e incoerenza delle norme imposte dalla decretazione di urgenza.

Tra i tanti ambiti dove si registra questo fenomeno spicca quello tributario in cui, in attesa che si realizzi la tanto propugnata riforma, si sono susseguiti i tanti interventi “spot” diretti ad arginare l’emergenza (ristori, bonus, slittamenti, sospensioni, proroghe). Il caos che ne è derivato, nel disorientamento assoluto di contribuenti, professionisti, uffici e giudici è sotto gli occhi di tutti.

C’è però un altro ambito, poco attenzionato all’opinione pubblica, su cui invito a fare una riflessione .Mi riferisco a quello dei tributi locali dove è vano ogni tentativo di individuare una strategia unitaria e una risposta rassicurante alle ricadute legate all’attuazione del federalismo fiscale (dal 2009), e a contenere la possibile deriva dell’autonomia differenziata regionale, partita con gli Accordi e poi Intese tra Stato e talune Regioni (2018), oggi “in stand by”, viste le marcate diseguaglianze nei livelli essenziali delle prestazioni, in primis, quelle sanitarie che si sono registrate nelle diverse regioni.

Cosa ci deve preoccupare? L’altissimo livello di tassazione, non controllato, né perequato, dei tributi locali (Tari, Imu, Tarip e altre entrate) negli 8mila Comuni italiani che, nelle premesse, dovrebbe garantire il finanziamento delle funzioni essenziali (l’utopia) ma che, invece, (la realtà) incombe come un macigno sulla produttività e redditività di imprese, enti, famiglie e, quindi, in definitiva, sul livello di benessere dei territori. E ciò, si noti, accade, nella prevalenza dei casi, senza che al dovere di contribuzione si accompagni il diritto dei contribuenti di comprendere la destinazione delle “entrate” riscosse.

Se poi in questo contesto irrompe l’intervento dello Stato su materie di competenza concorrente o esclusiva delle Regioni, la situazione diventa esplosiva.

Ed è quello che sta accadendo in materia Tari, dopo il Dlgs 116/2020 che ha recepito la nuova direttiva rifiuti contenuta nel pacchetto europeo di misure sull’economia circolare. Dal 1° gennaio 2021 è stata introdotta la definizione di rifiuto urbano che si allinea ai parametri europei per uniformare la stima e la comparazione delle performance degli Stati membri che, al contempo provoca l’eliminazione della categoria dei rifiuti “assimilabili e assimilati”. Nella nozione giuridica di rifiuto urbano deve ora ricondursi il lungo elenco di rifiuti generati dalle attività produttive, commerciali e artigianali (carta, cartoni, imballaggi, vernici, detergenti eccetera) senza limiti quantitativi, per cui nella scontata previsione dell’aumento molto consistente della quantità e variabilità della qualità di rifiuti da smaltire, i titolari del servizio pubblico potrebbero non essere in grado gestire il servizio e assicurare la continuità della raccolta.

C’è poi l’altra grave questione dei possibili mancati incassi Tari se le aziende sceglieranno, come possono, dal 1° gennaio 2021, ex Dllgs 116/2020, di affidarsi ad operatori privati piuttosto che al gestore pubblico (con opzione di durata quinquennale). Se ciò avverrà, anche se non è dato ancora comprendere con quali modalità e tempi, la Tari 2021 potrebbe non bastare a coprire i costi del servizio.

E non solo. La nuova definizione di rifiuto urbano stravolge i meccanismi di calcolo della Tari investita, nelle more, anche dal nuovo metodo tariffario unificato a «costi standard di efficienza» del servizio di smaltimento che sarebbe dovuto entrare in vigore nel 2020, sotto il controllo regolatore dell’Arera che, con delibera 443/2019 ha approvato, a tal fine, il Metodo tariffario servizio integrato di gestione dei rifiuti (Mtr). L’applicazione della Tari “standard” è stata prorogata al 2021, anche in ragione dell’emergenza Covid, ma nel frattempo è entrato in vigore il Dlgs 116/2020 per cui, di fronte al temibile rischio di un l’aumento incontrollato della Tari, l’Anci si è mobilitata per chiedere interventi urgenti al Governo e l’istituzione di un tavolo tecnico di confronto per esaminare le ricadute del Dlgs 116/2020 nei Comuni dove si applica la Tari ordinaria e nei Comuni (circa 100) dove si applica la Tari puntuale (dove la tariffa deve calcolarsi sulla base dei rifiuti effettivamente prodotti dalle utenze). L’obiettivo è quello di superare il punto critico della Tari ovvero quello di determinare le tariffe (parte fissa e variabile) a copertura integrale dei costi del servizio in mancanza di costi standard di efficienza che, ad oggi, ha lasciato la misura del prelievo alla “discrezionalità” tecnica e capacità finanziaria dei Comuni. Sono emerse, per questo motivo, ingiustificabili diseguaglianze tra utenze identiche (soprattutto le non domestiche) chiamate a corrispondere in un dato Comune, a parità di produzione di rifiuti, una Tari doppia, tripla o quadrupla di quella imposta da altro limitrofo.

Se consideriamo anche il fatto che in alcuni Comuni il Pef e il bilancio di previsione non vengono approvati nei tempi assegnati, è altissima la percentuale di mancata riscossione dei tributi, si versa in una situazione di dissesto o pre-dissesto che impatta sui livelli di spesa, si determina l‘impossibilità di manovre di bilancio “inclusive/sociali” che autorizzino la copertura di riduzioni/agevolazioni funzionali, è evidente che l’obiettivo “prefissato” dalle nuove regole potrebbe fallire e non potrà esservi, in ogni caso, alcuna scelta consapevole, né ponderata, né proporzionata del livello delle tariffe rispetto ai diversi presupposti impositivi, con buona pace della legittimità dei Regolamenti e delle delibere nelle more adottate.

È inutile, allora, chiedersi perché l’utente/contribuente non può/vuole/deve sopportare il costo dell’inefficienza del sistema trasferito nella misura di un prelievo illegittimo, sproporzionato ed iniquo. Ed è altrettanto inutile chiedersi perché la tenuta e valorizzazione della città secondo le politiche urbane ed ambientali che la Ue impone all’ente di governo come mission nell’era della sostenibilità si frantuma, si avviluppa al punto tale da non poter essere perseguita.

Nulla cambia, e cambIerà se chi è chiamato a ricoprire cariche pubbliche non decide, subito, di collaborare con gli altri livelli di governo nell’ottica della sussidiarietà, scenda nel merito tecnico delle questioni e operi, in definitiva, con senso di responsabilità nel perseguire il bene comune impegnandosi (semmai) anche a rendere pubblica l’azione ai fini dell’ accountability. E si ritorna all’utopia, non vedendo, a breve termine, alcun cambio di passo nella (attuale) realtà.

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