Industria del riciclo senza impianti per 2,2 milioni di tonnellate di rifiuti

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Industria del riciclo senza impianti per 2,2 milioni di tonnellate di rifiuti

Il Sole 24 Ore

Industria del riciclo senza impianti per 2,2 milioni di tonnellate di rifiuti

Studio di Cesisp Bicocca chiede nuovi inceneritori per 2,7 milioni di tonnellate

Finisce in discariche abusive tutto ciò che non arriva in strutture di trattamento

Jacopo Giliberto

C’è chi l’ha chiamato all’inglese, il “waste divide”. È il divario fra l’Italia del Nord e il Mezzogiorno nella disponibilità di impianti per selezionare, riciclare e alla fine smaltire i rifiuti. Mancano impianti ambientali per trattare circa 2,2 milioni di tonnellate di spazzatura (stima Ref.Ricerche per Fise Assoambiente) e serve una decina di inceneritori per 2,7 milioni di tonnellate (stima Cesisp Università Bicocca). E finisce nell’abuso tutto ciò che non arriva negli impianti per riciclare i materiali e per smaltire gli scarti irriciclabili che rimangono dopo le attività di rigenerazione.

Il caso della Campania, certo; la Sicilia che ambisce dotarsi di impianti alternativi alle discariche; il gorgo di Roma, ovvio. Ma il segnale è più generale. Mentre entra in vigore la direttiva europea sulla circular economy, l’Italia si indirizza a passo di marcia dalla parte opposta. Meno impianti e più norme inapplicabili.

Un piano nazionale

A parere del presidente della Fise Assoambiente, Chicco Testa, «serve la strategia nazionale di gestione dei rifiuti che fornisca una visione nel medio-lungo periodo migliorando le attuali performance. Per farlo nei prossimi mesi abbiamo due irripetibili occasioni da cogliere: il piano di aiuti messo in campo dalla Ue (Recovery Fund) e il programma nazionale per la gestione dei rifiuti da definire nei prossimi 18 mesi, secondo quanto previsto dalla direttiva europea appena recepita».

Massimo Beccarello, economista dell’Università di Milano Bicocca, insieme con Giacomo Di Foggia ha condotto lo studio «Circular capacity: stima del fabbisogno impiantistico per il piano nazionale di gestione dei rifiuti urbani». Dice Beccarello: «Non si può più rimanere fossilizzati sulla via autarchica di gestire i rifiuti urbani esclusivamente dentro la regione. L’ipocrisia dell’autosufficienza locale va superata insieme con l’inefficienza che essa porta con sé».

Chiudere discariche e Tmb

Che cosa impone la nuova direttiva? In sostanza, spiega la ricerca del Cesisp Bicocca, dice che dobbiamo chiudere discariche per 4,5 milioni di tonnellate di rifiuti e abbandonare impianti Tmb (trattamento meccanico biologico) per 4,9 milioni di tonnellate. Servono inceneritori per 2,7 milioni di tonnellate.

Alle discariche tenta di rinunciare la Sicilia, ma i suoi progetti di inceneritori vengono bocciati senza rimedio dal ministro dell’Ambiente, Sergio Costa. Invece gli impianti Tmb sono lo strumento dell’ipocrisia di Roma: tramite una setacciatura sommaria, la spazzatura di Roma da urbana (da trattare solo nella regione) viene riclassificata come speciale (esportabile in Romagna, Veneto o all’estero).

Lazio e Campania le peggiori

La raccolta differenziata in Italia è in media pari al 58,1% dei rifiuti, e anche qui si legge il divario fra Nord e Sud: 65% al Nord, 54,1% al Centro e 46,1% al Sud e isole. Sono 11 le regioni più arretrate. Al Lazio mancano impianti di gestione dei rifiuti pari a 1,3 milioni di tonnellate, e in Campania per 1,2 milioni di tonnellate.

La Lombardia fa il contrario: siccome ha molti impianti per separare, trattare e riciclare i materiali, e ha impianti per smaltire i rifiuti irriciclabili che risultano dal riciclo, allora ha disponibilità aggiuntiva pari a 1,3 milioni di tonnellate di spazzatura.

I numeri del disastro

Qualche numero dallo studio del Ref.Ricerche per Fise Assoambiente.

Nel 2019 è aumentata del 2% la produzione di rifiuti urbani e del 3,3% quella di rifiuti speciali. Sono diminuiti gli impianti per gestire questi rifiuti (396 impianti in meno per il segmento dei rifiuti speciali). Di conseguenza è aumentato l’export della spazzatura fuori dalla regione di produzione o perfino all’estero, come in Spagna, Austria, Olanda o Germania (+31% per gli urbani e +14% per gli speciali).

E ovviamente, più domanda e meno offerta, i costi di smaltimento sono cresciuti del 40%.

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