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In Italia raddoppiati in un decennio i rifiuti da depurazione e gestione di altri rifiuti

Servono più ecodesign, sottoprodotti, simbiosi industriali e impianti di recupero

In Italia raddoppiati in un decennio i rifiuti da depurazione e gestione di altri rifiuti

Ref ricerche: «Nel 2010 la gestione delle acque e dei rifiuti totalizzava circa 20,2 milioni di tonnellate, a fronte dei 42,2 milioni del 2020»

Anche nella più circolare delle economie continua a valere il secondo principio della termodinamica col conseguente aumento dell’entropia, per il quale la materia e l’energia si degradano ad ogni trasformazione, rendendo impossibile recuperarle in toto.

Aumenta la depurazione delle acque? Crescono i conseguenti fanghi da gestire. Sale la raccolta differenziata? Lo stesso fanno gli scarti di selezione. E così via, con alcune peculiarità che distinguono però in negativo il nostro Paese dagli omologhi europei.

Secondo l’ultimo rapporto sviluppato nel merito dal laboratorio Ref ricerche, nel corso degli ultimi 10 anni «il peso specifico dei rifiuti derivanti dalla gestione di acque e rifiuti è cresciuto. Basti pensare che nel 2010, la gestione delle acque e dei rifiuti totalizzava circa 20,2 milioni di tonnellate, pari a poco più del 30% delle attività economiche, a fronte dei 42,2 milioni del 2020. La sola “gestione dei rifiuti” è passata dai 17,9 milioni di tonnellate del 2010 ai 37,2 milioni del 2020 (+108% in dieci anni), diventando così il primo settore produttore di rifiuti».

Da sole, la gestione delle acque e quella dei rifiuti compongono il 52% del totale dei rifiuti derivanti dalle attività economiche. Nel dettaglio, più di un rifiuto su cinque di quelli derivanti dalle attività economiche è costituito da scarti di selezione, ovverosia residui provenienti da processi di cernita meccanica dei rifiuti, rifiuti combustibili (vale a dire combustibile derivato da rifiuti) e frazioni non compostate di rifiuti biodegradabili. A seguire troviamo i fanghi (14%, pari a 11,1 milioni di tonnellate) e rifiuti liquidi derivanti dal trattamento dei rifiuti, e i rifiuti minerali dal trattamento dei rifiuti e rifiuti stabilizzati.

Le tendenze recenti mostrano alcuni primi cenni di inversione di rotta, che tuttavia andranno confermati nel post 2020; nel frattempo però resistono le croniche difficoltà di gestione di questi rifiuti dell’economia circolare, per la carenza di impianti di riciclo chimico o recupero energetico dove conferire i rifiuti non riciclabili. Così, restano solo le discariche – ovvero la scelta impiantistica residuale, secondo la gerarchia europea per la gestione dei rifiuti – come unico presidio ambientale prima dell’export (o peggio degli smaltimenti illegali).

In Italia di fatto la produzione di rifiuti da attività economiche cresce a ritmi superiori a quelli del Pil, rendendo molto lontana la prospettiva di un reale disaccoppiamento tra i due parametri. Cosa accade invece negli altri principali Paesi europei?

Francia e Germania con, rispettivamente -8,6% e -3,2%, mostrano un disaccoppiamento avvenuto, mentre in Italia la produzione di rifiuti è cresciuta di più (+21,5%), nonostante la riduzione del Pil (-8,2% nel decennio). Si parla di 51,6 kilogrammi di rifiuti per migliaia di euro di Pil.

Come mai? La differenza è riconducibile al tessuto manifatturiero nazionale, che si dimostra un produttore più consistente di rifiuti se raffrontato a quello di Francia e Germania.

«Un’anomalia che non necessariamente deve essere letta come minore efficienza o attenzione alla prevenzione del sistema industriale italiano, piuttosto – argomentano dal Ref ricerche – rivela una certa immaturità della disciplina dei sottoprodotti, che induce le imprese a gestire come rifiuti anche materiali e scarti che potrebbero essere reimmessi nel processo produttivo, con un addendum di costi e carico amministrativo».

Che fare dunque? Oltre a incrementare la dotazione impiantistica per gestire i “rifiuti da rifiuti”, dal Ref ricerche suggeriscono di agire a monte del processo produttivo (tramite investimenti in ecodesign) e di implementare «un più efficace funzionamento dell’istituto del sottoprodotto e un più ampio ricorso alle pratiche di simbiosi industriale. Fino ad ora, infatti, il perimetro dei sottoprodotti è stato eccessivamente ristretto, limitando la casistica della remissione di scarti nelle filiere produttive senza ulteriori trattamenti. Ciò che ha frenato lo sviluppo di tale istituto è l’incertezza applicativa della normativa di riferimento, che porta gli operatori a preferire la classificazione come rifiuti, anziché come sottoprodotti, sottoponendosi così a regole più stringenti e onerose».

Le riforme previste dal Pnrr per il settore dei rifiuti, vale a dire il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti (Pngr) e la Strategia nazionale per l’economia circolare (Snec), contengono diverse indicazioni utili in tal senso, ma è ancora tutto da capire se e come verranno concretamente adottate

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