Corriere Fiorentino
l’economia
Il paradosso di Grosseto: ora regge,la ripresa rischia di lasciarla indietro
Prima tappa del viaggio nelle province della Toscana in crisi
La chimica, l’estate e qualche idea: qui va meglio che altrove
Grosseto Via Genova 5, zona industriale di Grosseto, direzione Siena. Qui si trova una piccola azienda, la Noxerior, produttrice, tra l’altro, di generatori per ossigeno medicale, destinato alle terapie intensive, che sta per chiudere l’anno con un aumento del 50% della produzione. Da quando è scoppiata la pandemia, i 20 dipendenti faticano a star dietro alle richieste, provenienti dagli ospedali di nord Europa, Russia, Stati Uniti, India. «Siamo indietro di quattro mesi nello smaltimento degli ordini. I nostri generatori di ossigeno sono ritenuti più vantaggiosi dei classici bomboloni e ciascuno di essi può rifornire ossigeno a 48 posti letto», spiega l’Ad Federico Guidarelli, 45 anni. Che non sa darsi pace che la Noxerior, azienda che fa parte della multinazionale francese Novair, «esporti in tutto il mondo, meno che in Italia».
Da Grosseto si sale verso l’Amiata, il monte dell’eremita Davide Lazzeretti, un visionario socialista, avversato dalla Chiesa e dallo Stato. Destinazione San Fiora, 2.600 anime a circa 700 metri di altezza, dove sono nati l’attrice Laura Morante e lo scolopio Ernesto Balducci, di cui si dichiara ammiratore il sindaco Federico Balocchi, 36 anni, che in piena lockdown ha lanciato l’idea di trasformare il piccolo borgo, bello ma abbandonato, nel primo «villaggio smart» d’Italia. Chi è in telelavoro può trasferirsi a Santa Fiora, prendere in affitto una delle numerose case, costo medio sui 300 euro al mese di cui la metà pagati dal Comune, per un periodo di due-sei mesi. «C’è molta richiesta, noi potremo finanziare una trentina di affitti. Già arrivate domande da Milano, Roma e Varese». L’idea di Balocchi unisce la nuova modalità del lavoro da casa con l’esigenza imposta dal virus di abitare in luoghi ampi e distanziati.
Dall’Amiata alla costa grossetana che va verso Capalbio. A Porto Santo Stefano si trova l’azienda ittica Fratelli Manno, leader a livello italiano del pesce del mar Tirreno e dei prodotti ittici per il consumo crudo, proprietaria di 14 pescherecci e 5 ristoranti della catena Vivo, a Firenze, Milano, Parma, Capalbio e Isola d’Elba. Due gli sbocchi commerciali: la grande distribuzione e i ristoranti. La prima ha retto, i secondi sono andati incontro alla crisi delle chiusure, anche se quando hanno riaperto hanno ottenuto un successo superiore al periodo precedente il lockdown. «Perché? I nostri ristoranti sono per un pubblico italiano e quindi non hanno sofferto la mancanza di stranieri. Con la pandemia abbiamo perso il 20% del fatturato che nel 2019 è stato di 55 milioni. Ma durante il lockdown non siamo stati a piangerci addosso: messi in cassa integrazione una parte di dipendenti, abbiamo riconvertito al digitale i processi di commercializzazione dell’azienda. Dopo la pandemia saremo diversi, 4.0. Abbiamo investito molto nell’informatizzazione», racconta uno dei tre titolari, Maurizio Manno, 46 anni.
Tre storie istruttive di come la pandemia a Grosseto stia cambiando imprese e stili di vita. Di come anche in questa crisi planetaria c’è chi va bene o inventa nuove strade o si rinnova, come la Manno che uscirà dal lockdown trasformata in azienda digitale, anche se questo processo diminuirà i posti di lavoro, come d’altra parte avviene anche in altre imprese. Comincia da sud il nostro viaggio nella crisi toscana, territorio per territorio.
Nel suo complesso, la provincia di Grosseto è quella che sta reggendo meglio ai colpi del virus. Si stima che a fine anno le perdite, sostiene Giovanni Lamioni, presidente di Confartigianato, si assesteranno intorno all’8% del Pil contro una media regionale del 12%. «La nostra è un’economia anticiclica: va meno peggio quando gli altri vanno male, ma va peggio quando c’è la ripresa. La crisi del 2008 l’abbiamo avvertita nel 2011 ed è presumibile che altrettanto avvenga anche stavolta», sostiene Anna Rita Bramerini, ex assessore regionale ora direttrice della Cna di Grosseto.
I numeri della crisi che si ricavano dalla Camera di Commercio sono comunque pesanti. Basti dire che un’impresa su due è stata costretta a fare ricorso agli ammortizzatori sociali e sei su dieci hanno dichiarato ad agosto che la ripresa ci sarà solo nei primi sei mesi del 2021 (seconda ondata della pandemia permettendo). Previsione condivisa da Antonella Mansi, ex vicepresidente di Confindustria e titolare della Nuova Solmine: «Da settembre abbiamo iniziato ad avvertire una ripresa dei consumi anche se in maniera discontinua. Restano pesanti i colpi della crisi. Anche se non abbiamo mai chiuso e non abbiamo mandato nessuno dei nostri 200 lavoratori in cassa integrazione, chiuderemo però l’anno con un calo del 14% del fatturato». Dello stesso avviso anche Francesco Pacini, vice presidente di Confindustria e dirigente di Venator, azienda che produce biossido di titanio: «Si vede la ripresa, anche se guardinga, Buone prospettive da Usa e Cina. Perdite? Tra il 15 e il 20% del fatturato».
Se a Grosseto i morsi del virus sull’economia si sono sentiti meno che altrove, lo si deve, osserva il presidente della Camera di Commercio Riccardo Breda, alla composizione del Pil. Su 100 euro prodotti, 79 derivano da turismo, terziario e servizi alla persona, 8-9 dall’industria, 5-6 dall’agricoltura e 8 dalle costruzioni. «L’export da noi conta meno che altrove e il mercato italiano ha retto meglio. Come si è visto nel turismo con una stagione estiva che è andata oltre le aspettative. Ma l’inverno è lunghissimo…».