Il continuo aumento dei costi energetici sta rischiando di mettere in crisi l’industria del cemento. Un aiuto può arrivare dai combustibili solidi secondari, ma è necessario snellire la burocrazia
I costi energetici che continuano ad aumentare stanno impattando sulla competitività di diversi settori importanti per la nostra economia, tra cui l’industria del cemento che in Italia impiega circa 32mila persone. La crisi energetica e la tragica guerra in Ucraina in pochi mesi hanno portato a un incremento del prezzo del gas metano di 8 volte rispetto a gennaio 2020 e il costo dell’energia elettrica ha raggiunto il suo record.
Per quanto riguarda l’industria del cemento, Federbeton Confindustria ha stimato una crescita del costo complessivo di produzione di più del 50% legata al fortissimo aumento dei costi energetici e ambientali, pari a circa il +700% rispetto alla media del 2020. In questo caso, oltre ai già citati aumenti, vanno considerati anche il prezzo del petcoke, il combustibile utilizzato nel settore, che è più che triplicato rispetto al 2020, e l’aumento del valore dei diritti di emissione di CO2.
Anche per l’industria del cemento da tempo si parla di decarbonizzazione come di un percorso obbligatorio per raggiungere i target al 2030 di riduzione delle emissioni, verso la neutralità climatica al 2050. Una sfida che richiederà investimenti per 4,2 miliardi di euro, oltre a extra-costi operativi pari a circa 1,4 miliardi annui. Il rischio è che il settore perda in competitività rispetto ad altri paesi extra UE nei quali è previsto il rispetto di criteri ambientali meno rigidi e dunque costi più bassi.
I combustibili solidi secondari rappresentano una interessante possibile soluzione per evitare che questa situazione metta in ginocchio un’industria importante nel nostro paese e che aumenti l’import di materiali fondamentali per l’edilizia.
Si tratta, sottolinea Roberto Callieri, Presidente di Federbeton di una “risorsa energetica a kilometro zero, economica, già pronta a essere utilizzata per esempio nei forni delle cementerie al posto di prodotti petroliferi”. I CSS sono ricavati da quella parte non riciclabile dei rifiuti, oggi conferiti in discarica o inviati all’estero, naturalmente a un costo. Si tratta di materiali non pericolosi che “in un ciclo produttivo come quello del cemento possono sostituire i derivati del petrolio, riducendo drasticamente le emissioni di CO2“. Il loro utilizzo potrebbe garantire un importante vantaggio competitivo per le aziende del settore e contenimento dei costi in bolletta. Per poterli utilizzare è però necessario semplificare la normativa e snellire la burocrazia.
L’Italia, rispetto ad altri paesi in cui i CSS vengono utilizzati al posto dei prodotti petroliferi in percentuale molto alta, fino al 60 o addirittura l’80%, con il 21% è sotto media. Il Laboratorio Ricerche REF stima che un tasso di sostituzione del 66% garantirebbe un taglio di 6,8 mln di tonnellate di CO2 emesse in atmosfera”.