Il Manifesto – ExtraTerrestre
Il biometano (fatto bene) ci dà una mano
Alternative. Uno degli ultimi decreti firmati da Cingolani stanzia 1,92 miliardi per nuovi impianti, raddoppiare la produzione di biometano entro il 2026 è possibile
Daniela Passeri
Raddoppiare la produzione italiana di biometano entro il 2026, dagli attuali 2 miliardi di metri cubi a oltre 4 miliardi, più della quantità di metano fossile (3,5 miliardi di mc) che estraiamo dal sottosuolo con le trivelle. Per farlo, il PNRR ha stanziato 1,92 miliardi di euro in forma di incentivi agli impianti e alla produzione, sbloccati una decina di giorni fa da uno degli ultimi decreti firmati dal ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, atteso da mesi dagli operatori del settore.
PERCHE’ SIA UNA BUONA NOTIZIA per la transizione energetica, il biometano – come del resto ogni fonte rinnovabile – bisogna farlo bene. Del tema si parlerà nel corso nel Food & Science festival che si apre domani a Mantova, 3 giorni di incontri e dibattiti sulla produzione di cibo in tutte le sue possibili sfaccettature, compreso l’impatto sul clima e la possibile competizione con la produzione di energia. Sabato 1 ottobre alle ore 10 in piazza Leon Battista Alberti è previsto un incontro su Biometano e transizione energetica con Piero Gattoni, presidente del Consorzio italiano biogas, Mirco Garuti, biotecnologo e ricercatore presso il dipartimento Ambiente ed energia del Centro ricerche produzioni animali di Reggio Emilia e Gabriele Lanfredi, presidente del Confederazione generale bieticoltori italiani.
IL BIOMETANO SI PRODUCE grazie alla digestione anaerobica da parte di microrganismi di un mix di biomasse, costituito prevalentemente da effluenti zootecnici, residui dei campi, sottoprodotti agricoli e dell’agro-industria come bucce o sansa di olive, e una parte di colture di secondo raccolto, coltivate cioè dopo il raccolto principale come colture di rotazione o per tenere i terreni coperti. Inoltre, il biometano si può produrre dal trattamento della frazione organica dei rifiuti urbani. Per il biometano non si usano sostanze legnose. I vantaggi ecologici stanno nel non disperdere in atmosfera il metano che verrebbe emesso naturalmente dalla decomposizione della biomassa processata nei digestori, nella riduzione dei volumi di rifiuti da trattare, nel riuso di sostanze nutritive presenti nella biomassa come fertilizzanti. Il biogas che si ottiene dai digestori può essere utilizzato così com’è per produrre energia rinnovabile attraverso co-generatori (energia termica ed elettrica) oppure, ulteriormente depurato da altri gas come anidride carbonica e zolfo, diventa una molecola uguale al metano fossile e come tale può essere immessa nella rete di distribuzione.
«SIAMO CONTENTI DI QUESTO DECRETO, ma alquanto perplessi per tutto il tempo che ci è voluto per averlo. Inoltre, siccome il testo non è ancora definitivo, posso esprimere un parere con riserva – dice Piero Gattoni – È comunque positivo che venga confermata la possibilità di produrre biometano non solo per i trasporti ma anche per gli usi finali, quindi, per i distretti industriali e per i settori più difficili da decarbonizzare come acciaierie, vetrerie, cartiere, che sono in sofferenza in questo momento per i costi dell’energia. Quello che ci preoccupa sono i ritardi che si stanno accumulando, anche per colpa di Bruxelles, il cui rigido approccio regolatorio sta ingessando la possibilità delle imprese di fare investimenti e di cominciare a produrre. Del resto, il nostro è un settore senza indirizzo, come lo è stata la politica energetica delle fonti rinnovabili. Da sempre queste sono state viste con grande scetticismo, salvo poi accorgersi, in un momento di grave crisi, che i paesi che rispondono meglio sono quelli che hanno una maggiore disponibilità di fonti rinnovabili».
I FONDI DEL PNRR ANDRANNO A FINANZIARE sia il miglioramento degli impianti esistenti sia la costruzione di nuovi impianti. La maturità tecnologica fa si che ne esistano di tutte le dimensioni per ogni tipologia di impresa agricola. Per quanto riguarda, invece, gli impianti di biometano da rifiuti, secondo Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente ed esperto di biometano, «gli impianti devono essere dislocati secondo le capacità dei territori, idealmente potremmo dire uno per ogni provincia, salvo realtà come Roma, dove potrebbero essere anche una decina. L’importante è che si favorisca una produzione diffusa del biometano, non più centralizzata. Il biometano deve essere prodotto quanto più a Km0 e non in mega-impianti che sarebbero solo una speculazione, da alimentare con enormi quantità di biomasse che dovrebbero essere trasportate per lunghi tragitti, vanificando i vantaggi. Certo è che la gestione ottimale e valorizzazione della frazione umida dei rifiuti va fatta con impianti industriali: è illusorio pensare di farla con il compostaggio domestico, certo una prassi utile, ma che oggi coinvolge non più del 3% della popolazione».
ALLA FINE DEL PROCESSO DI DIGESTIONE anaerobica, la massa residua è il cosiddetto digestato, una frazione ricca di sostanza organica in parte solida e in parte liquida che può essere utilizzata come fertilizzante. «Il digestato è un ottimo ammendante naturale, ricco di sostanza organica, contiene azoto, fosforo e potassio – ci spiega Mirco Garuti, biotecnologo – diversi studi ci dicono che migliora qualitativamente i suoli incrementando la sostanza organica. Le aziende agricole che si dotano di digestori non possono che trarne benefici. Inoltre, possono trattare gli effluvi zootecnici in ambiente chiuso, e non spargerli sui campi come avviene oggi. Oltre a contribuire a ridurre i gas ad effetto serra, possono risolvere in gran parte anche il problema dei cattivi odori».
OGGI L’ITALIA CONTA OLTRE 2000 impianti di biogas, l’80% dei quali sono agricoli, per una produzione pari a circa 8 TWh annui, con i quali si potrebbe, ad esempio, fornire energia elettrica sufficiente per l’illuminazione pubblica notturna di tutta Italia. Lo sviluppo della digestione anaerobica in agricoltura per la produzione di energia elettrica rinnovabile, negli ultimi dieci anni, ha fatto registrare 4,5 miliardi di euro di investimenti, creando oltre 12.000 posti di lavoro stabili.
«SONO TUTTI IMPIANTI DI PICCOLA E MEDIA taglia ben integrati nelle realtà agricole tradizionali – sottolinea Gattoni – con tecnologie che possono stimolare anche la transizione agro-ecologica: non servono solo alla produzione di energia ma integrano altre funzioni: esistono aziende che non potrebbero pensare di fare agricoltura con fertilizzanti organici, con colture di copertura e rotazioni, senza un digestore a disposizione».
ALTRE FORME DI BIOENERGIA NON VENGONO prese in considerazione dal PNRR. Eppure in Italia, secondo uno studio del Coordinamento Free (Fonti rinnovabili ed efficienza energetica) «la produzione di energia da biomasse può contare su tecnologie mature e un solido retroterra industriale, costituito da migliaia di impianti, in gran parte di taglia medio-piccola, presenti sull’intero territorio nazionale». Una mancanza di attenzione dovuta a «scarsa conoscenza dell’importanza del settore. Eppure è evidente che la bioenergia – unica fonte rinnovabile che richiede un costante approvvigionamento di «combustibile» sotto forma di biomassa – assumerà un ruolo di primaria importanza per la sostenibilità economica delle filiere produttive e la corretta gestione dei loro residui e sottoprodotti».