Corriere della Sera
Antonio Massarutto, autore del secondo volume sul vivere sostenibile in edicola con Corriere e Gazzetta
di Sara Gandolfi
«Come tutti i momenti di rottura, quello che stiamo vivendo è una grande occasione di cambiamento, per accelerare tendenze che erano già latenti prima della pandemia e che ora abbiamo la possibilità di tradurre in pratica più rapidamente. Basti pensare alla quantità di risorse a disposizione per finanziare l’economia del post Covid». Il professor Antonio Massarutto, docente di Economia all’Università di Udine e ricercatore alla Bocconi, autore del saggio Un mondo senza rifiuti? non ha dubbi: se utilizzate bene queste risorse saranno destinate allo sviluppo dell’economia circolare. «Che — sottolinea — non è un vezzo radical chic che ci siamo imposti per far contenta Greta, ma qualcosa di cui il sistema economico ha urgente bisogno».
Nella pratica cosa dovrebbe fare subito l’Italia?
«L’economia circolare non significa soltanto gestione dei rifiuti. Non è più un bene giunto al fine vita di un processo produttivo di consumo da cui dev’essere espulso, ma diventa nuovo alimento per il sistema perché “nulla si crea e si distrugge, tutto si trasforma”. Non si tratta solo di ammodernare il sistema di raccolta dei rifiuti che in Italia, soprattutto al Sud, è ancora dominato da modelli obsoleti. Pensi che il 25% dei nostri rifiuti va ancora in discarica. Economia circolare significa anche nuovi materiali, nuovi modi di concepire le catene del valore, il sistema di distribuzione e la logistica dei beni, in modo che possano essere fatti di materiali che facilitano lo smantellamento e il riutilizzo».
Esempi?
«La bio-edilizia e l’uso di materiali rinnovabili come il legno, al posto del cemento che ha caratterizzato il secolo passato. O l’elettronica di consumo che oggi è il trionfo dell’usa e getta, e in futuro dovrà diventare una miniera di materie prime preziose e assai rare, attraverso lo smantellamento dei prodotti usati».
La differenza la farà il governo o il singolo?
«Entrambi. Compito del governo è preparare il terreno affinché i singoli, che sono i consumatori ma anche le imprese che scelgono con quali materiali produrre, vengano orientati in questa direzione. Noi economisti parliamo di “lock-in” tecnologico. Vuol dire che siamo come “ingabbiati” in un percorso preordinato figlio della nostra storia, c’è una forte inerzia nella tecnologia che si manifesta finché non ne arriva una completamente nuova. È accaduto molte volte. L’elettricità ha scalzato la macchina a vapore, l’automobile le carrozze, e poi Internet… L’economia circolare e più in generale la “green economy” può rappresentare una nuova fase di transizione tecnologica. Compito del governo è che avvenga in modo ordinato e se possibile indolore. Basti pensare ai benefici a cui porterebbe un piano massiccio di ristrutturazione dell’edilizia pubblica in chiave sostenibile».
Tornando ai rifiuti, meglio riciclo e inceneritori?
«Nella gerarchia europea, contenuta nel pacchetto sulla “Circular economy” approvato nel 2018, il recupero energetico è un gradino sotto al recupero di materia. Da economista, non sono così convinto che sia giusto. Per me il problema è fino a che punto riciclare e quando cominciare ad incenerire. Per poter ottenere un materiale che abbia caratteristiche tali da poter essere rimesso sul mercato, devo sostenere costi tali — per raccoglierlo, separarlo, pulirlo, processarlo, ecc — che molte volte non ne vale la pena. A quel punto, il recupero energetico è il destino migliore. I Paesi europei più avanzati nell’azzeramento della discarica, come la Svizzera o la Germania, ci mostrano che l’unica via per farlo è riciclare due terzi dei rifiuti e bruciare il terzo che rimane».
Molti rifiuti sono però figli di scelte sbagliate…
«Sì, spesso fatte molto a monte della filiera produttiva. A volte da chi ha tutto l’interesse che il bene diventi presto un rifiuto, ad esempio per obsolescenza tecnologica. Io invoco un impiego più massiccio del principio di responsabilità estesa: se fosse il produttore a pagare per lo smaltimento dei rifiuti elettronici. forse si porrà finalmente il problema di cosa fare dei suoi smartphone usati».
re della Sera
«I rifiuti sono utili è ora di cambiare»
Antonio Massarutto, autore del secondo volume sul vivere sostenibile in edicola con Corriere e Gazzetta
di Sara Gandolfi
«Come tutti i momenti di rottura, quello che stiamo vivendo è una grande occasione di cambiamento, per accelerare tendenze che erano già latenti prima della pandemia e che ora abbiamo la possibilità di tradurre in pratica più rapidamente. Basti pensare alla quantità di risorse a disposizione per finanziare l’economia del post Covid». Il professor Antonio Massarutto, docente di Economia all’Università di Udine e ricercatore alla Bocconi, autore del saggio Un mondo senza rifiuti? non ha dubbi: se utilizzate bene queste risorse saranno destinate allo sviluppo dell’economia circolare. «Che — sottolinea — non è un vezzo radical chic che ci siamo imposti per far contenta Greta, ma qualcosa di cui il sistema economico ha urgente bisogno».
Nella pratica cosa dovrebbe fare subito l’Italia?
«L’economia circolare non significa soltanto gestione dei rifiuti. Non è più un bene giunto al fine vita di un processo produttivo di consumo da cui dev’essere espulso, ma diventa nuovo alimento per il sistema perché “nulla si crea e si distrugge, tutto si trasforma”. Non si tratta solo di ammodernare il sistema di raccolta dei rifiuti che in Italia, soprattutto al Sud, è ancora dominato da modelli obsoleti. Pensi che il 25% dei nostri rifiuti va ancora in discarica. Economia circolare significa anche nuovi materiali, nuovi modi di concepire le catene del valore, il sistema di distribuzione e la logistica dei beni, in modo che possano essere fatti di materiali che facilitano lo smantellamento e il riutilizzo».
Esempi?
«La bio-edilizia e l’uso di materiali rinnovabili come il legno, al posto del cemento che ha caratterizzato il secolo passato. O l’elettronica di consumo che oggi è il trionfo dell’usa e getta, e in futuro dovrà diventare una miniera di materie prime preziose e assai rare, attraverso lo smantellamento dei prodotti usati».
La differenza la farà il governo o il singolo?
«Entrambi. Compito del governo è preparare il terreno affinché i singoli, che sono i consumatori ma anche le imprese che scelgono con quali materiali produrre, vengano orientati in questa direzione. Noi economisti parliamo di “lock-in” tecnologico. Vuol dire che siamo come “ingabbiati” in un percorso preordinato figlio della nostra storia, c’è una forte inerzia nella tecnologia che si manifesta finché non ne arriva una completamente nuova. È accaduto molte volte. L’elettricità ha scalzato la macchina a vapore, l’automobile le carrozze, e poi Internet… L’economia circolare e più in generale la “green economy” può rappresentare una nuova fase di transizione tecnologica. Compito del governo è che avvenga in modo ordinato e se possibile indolore. Basti pensare ai benefici a cui porterebbe un piano massiccio di ristrutturazione dell’edilizia pubblica in chiave sostenibile».
Tornando ai rifiuti, meglio riciclo e inceneritori?
«Nella gerarchia europea, contenuta nel pacchetto sulla “Circular economy” approvato nel 2018, il recupero energetico è un gradino sotto al recupero di materia. Da economista, non sono così convinto che sia giusto. Per me il problema è fino a che punto riciclare e quando cominciare ad incenerire. Per poter ottenere un materiale che abbia caratteristiche tali da poter essere rimesso sul mercato, devo sostenere costi tali — per raccoglierlo, separarlo, pulirlo, processarlo, ecc — che molte volte non ne vale la pena. A quel punto, il recupero energetico è il destino migliore. I Paesi europei più avanzati nell’azzeramento della discarica, come la Svizzera o la Germania, ci mostrano che l’unica via per farlo è riciclare due terzi dei rifiuti e bruciare il terzo che rimane».
Molti rifiuti sono però figli di scelte sbagliate…
«Sì, spesso fatte molto a monte della filiera produttiva. A volte da chi ha tutto l’interesse che il bene diventi presto un rifiuto, ad esempio per obsolescenza tecnologica. Io invoco un impiego più massiccio del principio di responsabilità estesa: se fosse il produttore a pagare per lo smaltimento dei rifiuti elettronici. forse si porrà finalmente il problema di cosa fare dei suoi smartphone usati».