Gestione rifiuti in Toscana, ecco le 5 criticità cui il nuovo Piano rifiuti deve rispondere

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Gestione rifiuti in Toscana, ecco le 5 criticità cui il nuovo Piano rifiuti deve rispondere

De Girolamo (Cispel): mancano gli impianti ed esportiamo 210mila ton di frazione organica e 30mila di indifferenziato l’anno, cui si aggiunge lo stato di crisi della gestione dei rifiuti speciali

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La Toscana scende nella classifica italiana della gestione dei rifiuti. Lo testimonia il Rapporto della Fondazione Ref ricerche sulla pianificazione regionale da poco pubblicato. Quattro i punti critici dei dati toscani.

Primo: la percentuale di raccolta differenziata è al 62%, ancora sotto il target del 65% indicato dalla normativa nazionale. Il tasso di riciclo effettivo si attesta invece nel 2019 intorno al 50%, target europeo raggiunto quindi con un anno di anticipo. Probabilmente dovremo attendere i dati 2020 per vedere (e superare) il 65% di raccolta differenziata, mentre il traguardo del 65% di riciclo effettivo al 2035 sembra invece a portata di mano forse già nel 2030. Su tutti i dati critici toscani questo appare il meno preoccupante, anche se spesso solo su questo indicatore si concentrano le attenzioni del dibattito pubblico.

Secondo: il tasso di discarica è al 30% in leggero aumento negli ultimi anni. In realtà circa il 40% dei rifiuti urbani finiscono nelle discariche regionali, se si considerano anche gli scarti del riciclo che Ispra non conteggia nei suoi calcoli: circa il 20% del riciclo, quindi il 10% del totale. Si tratta di un dato molto preoccupante, considerato che la Direttiva europea prevede un massimo del 10% di rifiuti urbani conferibili in discarica al 2035, fra 14 anni. E che alcune regioni del nord (Lombardia, Emilia-Romagna) sono già sotto il 10%. Un dato che fa il paio con lo scarso utilizzo del recupero energetico, ormai arrivato in Toscana a circa il 10% del totale. Due valori che andrebbero capovolti in pochi anni. Facendo impianti.

Terzo: la Toscana esporta circa 30.000 tonnellate di rifiuti indifferenziati trattati negli impianti di selezione (Tmb), prevalentemente verso impianti di recupero energetico all’estero. Produciamo frazione combustibile da rifiuti urbani nei nostri 11 impianti di trattamento meccanico biologico ma nella nostra regione non abbiamo dove bruciarli. Siamo passati da 11 termovalorizzatori a 4, con la previsione di chiusura di altri due. Questa la situazione ad oggi. E di nuovi impianti per adesso non c’è traccia concreta.

Quarto: la Toscana esporta fuori regione 210.000 tonnellate di frazione organica, verso impianti di compostaggio o digestione anaerobica nelle regioni del nord. Facciamo una buona raccolta differenziata ma non abbiamo impianti, così come il Lazio, la Campania e la Puglia. Qui la prospettiva è un po’ più positiva: se tutti i digestori anaerobici previsti (7-8, uno a fine cantiere, altri già in Aia, altri in fase di autorizzazione) venissero realizzati saremmo autosufficienti in pochi anni.

Questi i punti, messi in evidenza da Ref Ricerche, che dovranno essere alla base del prossimo Piano regionale di gestione dei rifiuti, che la Giunta regionale si appresta ad istruire. La pianificazione regionale dovrà dare risposte concrete in tempi certi alle quattro criticità sopra indicate. Cui si aggiunge lo stato di crisi della gestione dei rifiuti speciali: nessun distretto industriale tipico della Toscana dispone di impianti adeguati per il cartario, il tessile, il chimico, i fanghi. Un problema serio per la competitività dell’economia regionale.

Quello che servirà è un Piano vero, che faccia in Toscana un’operazione verità sui dati, sui flussi e sugli impianti. Come rileva con grande accuratezza Ref, molti piani regionali non hanno funzionato perché basati su “trucchi” non su una reale volontà di rendere quella regione autosufficiente. Le tecniche per rendere artefatto un piano sono ormai note e sempre le stesse: si aumenta in modo irragionevole il dato sulla riduzione dei rifiuti negli anni, si stimano tassi di raccolta differenziata irrealistici, per il resto ci si ferma agli impianti intermedi (Tmb) e poi i rifiuti evaporano in un meglio imprecisato mercato (in realtà finiscono in discarica o vengono esportati, ma non si può dire). Ecco, questi i “trucchi” che non andrebbero usati mai in un Piano regionale serio.

Oltretutto, adesso esiste un Programma nazionale di gestione dei rifiuti che ha come scopo anche quello di dettare criteri omogenei per la redazione dei Piani regionali. Un lavoro di coordinamento e linee guida che dovrebbe proprio impedire alle Regioni di nascondersi dietro le solite ipocrisie. E non sarà fattibile la scorciatoia di approvare i Piani regionali prima dell’approvazione del Programma nazionale (18 mesi da settembre 2020). Il Programma dirà chiaramente che i Piani regionali, non conformi con le linee strategiche nazionali, dovranno adeguarsi al più presto. Come dire: Regioni, non ci provate. Chissà, magari il Mite introdurrà sanzioni e poteri sostitutivi.

Ref Ricerche indica nel suo Rapporto una metodologia seria e concreta per far sì che i Piani regionali siano l’occasione per risolvere i problemi di ogni regione e non per nasconderli e rinviarli, o peggio far finta che non esistano. Adesso si tratta di avviare la discussione in Toscana sul Piano regionale. Al più presto.

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