Dall’Ecoforum un Piano nazionale per l’economia circolare in cinque punti

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Dall’Ecoforum un Piano nazionale per l’economia circolare in cinque punti

Ferrante (Kyoto club): «Delusi del poco spazio che l’uso efficiente delle risorse ha trovato nel Pnrr»

Di Luca Aterini

Un piano nazionale per l’economia circolare che abbia al centro cinque punti cardine: è questa la proposta che emerge dall’VIII edizione dell’EcoForum, in corso fino a domani a Roma (oltre che in diretta streaming su eco-forum.it e su lanuovaecologia.it) e organizzato come sempre da Legambiente, La Nuova Ecologia e Kyoto Club .

Per quanto riguarda in particolare i progressi necessari sul fronte della gestione rifiuti – ne generiamo ogni anno 184 mln di tonnellate, tra speciali (154) e urbani (30) – da Legambiente sottolineano che ad oggi in Italia non c’è un’adeguata rete impiantistica e si registra una forte disparità tra il nord, dove è concentrata la maggioranza degli impianti, e il centro sud dove sono carenti. Ciò fa sì che in molti contesti territoriali si assista ad un trasferimento dei rifiuti raccolti in altre regioni o all’estero.

Si tratta dunque di ridurre il turismo dei rifiuti: si stima infatti che 2,7 mln di ton l’anno di rifiuti urbani vengano gestiti in regioni diverse da quelle di produzione, impiegando 107mila viaggi di camion su 49 mln di chilometri (e allargando l’osservazione ai rifiuti speciali si arriva a 1,2 miliardi di km percorsi ogni anno, senza contare le tratte fuori confine). Così a circolare sono i rifiuti, più che l’economia.

«L’Italia non perda più tempo – dichiara Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – e con l’arrivo dei primi fondi europei acceleri attraverso una strategia e un road map nazionale sull’economia circolare. Per raggiungere i target europei e per archiviare la stagione delle discariche e degli inceneritori, occorre realizzare mille nuovi impianti di riciclo, promuovere semplificazioni degli iter autorizzativi, attivare percorsi partecipativi per coinvolgere i territori nella realizzazione degli impianti, approvare nuovi decreti end of waste, completare la riforma del Sistema nazionale della protezione ambientale e accelerare la creazione di un mercato dei prodotti riciclati, obiettivo ancora oggi disatteso».

I fondi europei incardinati nel Pnrr approvato dal Governo Draghi sono stati però molto parsimoniosi in fatto di economia circolare. Su circa 200 miliardi di euro previsti, la voce “realizzazione di nuovi impianti di gestione rifiuti e ammodernamento di impianti esistenti” ne assorbe solo 1,5 contro 10 stimati come necessari dalle imprese di settore, e soprattutto il Piano sembra soffermarsi solo sulla gestione dei rifiuti urbani.

«L’economia circolare – commenta Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club – è la chiave per risparmiare risorse naturali e per rispondere alla crisi puntando sull’innovazione. Non possiamo quindi che dirci delusi del poco spazio che l’uso efficiente delle risorse ha trovato nel Pnrr. Infatti non si tratterebbe solo di gestire in maniera più intelligente e integrata il ciclo dei rifiuti, facendo gli impianti che servono e scegliendo quelli più innovativi e non soluzioni del secolo scorso, quali i termovalorizzatori che non a caso la Commissione europea ha escluso da ogni possibile finanziamento, ma piuttosto di semplificare il recupero con i decreti End of waste e promuovere ad esempio la chimica verde che si basa su materia prima vegetale e rinnovabile e non più sui fossili».

Il “problema” per i termovalorizzatori come per gli altri impianti per la gestione rifiuti, più che nell’esclusione dalla tassonomia Ue sugli investimenti sostenibili, sta nell’iter autorizzativo e nelle sindromi Nimby&Nimto che ne bloccano la realizzazione (solo il 20% di tutte le opere per la gestione del ciclo rifiuti finanziate negli ultimi 8 anni è stato realizzato). Sarebbe anzi un controsenso impiegare risorse prese a prestito dalla collettività per finanziare la costruzione di termovalorizzatori quando in primis al riciclo mancano risorse; ciò non toglie che altri inceneritori – che le imprese sarebbero ben contente di pagare di tasca propria – possano essere utili per gestire i rifiuti che non possiamo riciclare.

Non a caso il 64% dei rifiuti speciali che esportiamo è costituto da “rifiuti prodotti da impianti di trattamento dei rifiuti” e “impianti di trattamento delle acque reflue”, gli scarti appunto dell’economia circolare che preferiamo non vedere e affidare ad altri Paesi.

Per capire davvero quali e quanti impianti servono per gestire i nostri rifiuti, non è possibile fermarsi alle opinioni su una singola fattispecie, come i termovalorizzatori: è indispensabile che venga completato il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti, avviato dal precedente Governo e inserito nel Pnrr. E poi? Per Legambiente le priorità dell’economia circolare italiana si riassumono in 5 punti.

Il primo riguarda i decreti End of waste (Eow): secondo i calcoli del Cigno verde dal 2013 al 2021 sono stati pubblicati in Gazzetta ufficiale solo 5 decreti Eow, mentre ne restano 19 in via di adozione o predisposizione. Ecco perché «al Mite serve una task force per rendere più veloci gli iter di approvazione».

Il secondo verte sulla necessità – parallela a quella della semplificazione nel permitting per gli impianti – di rafforzare i controlli ambientali, e dunque istituzioni come Ispra e le Arpa: «Su questo fronte non sta succedendo nulla», mentre sarebbe necessario almeno un investimento aggiuntivo di circa 240 milioni di euro all’anno per assumere 2mila tecnici in più (rispetto all’attuale organico fatto di 10mila persone) e acquistare strumenti e attrezzature per i laboratori di analisi.

Sugli impianti per il ciclo rifiuti, invece, Legambiente afferma che «va realizzata una rete impiantistica per la gestione dei rifiuti urbani tale da rendere autosufficiente ogni provincia italiana», investendo in via prioritaria sui biodigestori e sulla selezione dei rifiuti da imballaggio da raccolta differenziata. Anche per i rifiuti speciali «è fondamentale costruire nuova impiantistica per il riciclo, si pensi ad esempio alla filiera della bioeconomia che dalle biomasse di scarto produce intermedi e prodotti della chimica verde in impianti che possono essere realizzati riconvertendo siti industriali in dismissione o già dismessi su tutto il territorio nazionale […] Deve essere prevista anche l’autorizzazione di lotti in discariche, preferibilmente esistenti, solo ed esclusivamente per i rifiuti contenenti amianto (almeno una discarica per regione con lotto autorizzato a tal fine)».

Ma come superare le sindromi Nimby&Nimto che vedono proprio nella gestione rifiuti un bersaglio prediletto? «Le proteste nei confronti dei progetti e le sindromi nimby si possono superare solo con la partecipazione dei cittadini e la condivisione con i territori – risponde Legambiente – In Italia sono in vigore due strumenti di partecipazione, il dibattito pubblico e l’inchiesta pubblica, che fino ad oggi non sono praticamente mai stati utilizzati: nei fatti l’informazione dei cittadini e la partecipazione ai processi decisionali per l’approvazione di progetti non è garantita». Una lacuna che è bene colmare il prima possibile, pur nella consapevolezza che dopo il dibattito pubblico resta alla politica l’onere di decidere, probabilmente scontentando qualche elettore.

Infine un grande classico, quello degli acquisti verdi: «Per chiudere il cerchio dell’economia italiana è importante fare in modo che i prodotti realizzati dal riciclo dei rifiuti abbiano una corsia preferenziale sul mercato. A tal fine serve estendere l’obbligo di utilizzare i Criteri ambientali minimi (Green public procurement) agli affidamenti di qualsiasi importo e tipologia di opere, beni e servizi da parte della Pubblica amministrazione», concludono dall’Ecoforum.

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