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Ref ricerche: serve «una strategia impiantistica, che è anche il presupposto per superare la sfiducia e le resistenze di matrice ideologica che trovano terreno fertile nelle tante sindromi Nimby»
Di Luca Aterini
Ogni giorno attraversano i confini della Toscana 24 tir carichi di rifiuti prodotti sul territorio, alla ricerca di impianti dove la nostra spazzatura possa essere gestita in sicurezza: in un anno, si tratta di ben 8.760 camion. Una carovana che «inquina (emissioni di CO2 e polveri sottili), costa ai cittadini (aumenta la tassa sui rifiuti) e alle imprese (maggiori costi di smaltimento)», come spiegano da Ref ricerche illustrando una situazione ormai critica dove la Toscana si piazza al sesto posto – con il podio saldamente in mano a Lazio, Campania e Sicilia – tra le regioni che non hanno abbastanza impianti per smaltire i propri rifiuti speciali «e perciò li destinano alle discariche o ai termovalorizzatori situati in altre regioni o all’estero».
Come già documentato lo scorso novembre da Ref ricerche, sulla Toscana risulta gravare (dati 2017) un deficit impiantistico pari a 210.442 tonnellate/anno nella gestione dei rifiuti speciali, al quale si aggiunge – come mostra un nuovo studio pubblicato oggi – un ulteriore deficit pari a 21.500 tonnellate/anno (dati 2018) nello smaltimento e avvio a recupero energetico dei rifiuti urbani.
Se la pianificazione impiantistica regionale è chiamata a garantire l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e la prossimità dello smaltimento e del recupero dei rifiuti urbani indifferenziati (art. 182bis del TUA), i rifiuti speciali possono invece circolare liberamente sul territorio, allo scopo di essere avviati a recupero in impianti idonei. Ed è quello che accade: assumendo una capacità di carico di 24 tonnellate per tir, si raggiunge appunto la cifra di 8.760 camion l’anno. Un paradosso che vede la Toscana in ottima compagnia, purtroppo.
«La somma dei deficit delle 14 regioni che non hanno impianti sufficienti per lo smaltimento e l’avvio a recupero energetico dei rifiuti è di 4,9 milioni di tonnellate, che – spiegano da Ref ricerche – vengono così esportate all’estero o in altre regioni per essere riciclate o incenerite. In mancanza di impianti, lo smaltimento avviene trasportando, appunto, altrove i rifiuti. Quando non finiscono per accumularsi nelle strade, con problemi di natura sanitaria e ambientale, e diventare una emergenza, terreno fertile per le organizzazioni criminali. I costi diretti e indiretti gravano sulle spalle dei cittadini e delle imprese».
Che fare, dunque? È utile sottolineare al proposito che – indipendentemente che si tratti di urbani o speciali – per tutti i rifiuti il legislatore (si vedano ad esempio sempre l’art. 182-bis e l’art. 199 del TUA) chiede alle regioni di assicurare le condizioni affinché il recupero o lo smaltimento avvengano preferibilmente in prossimità del luogo di produzione, laddove in particolare sia necessario il ricorso a impianti specializzati.
Partendo da questi presupposti, Ref ricerche conclude che «occorre ripensare profondamente la gestione dei rifiuti del Paese, superando il dualismo tra rifiuti urbani e speciali e costruendo gli impianti necessari alla loro gestione, con soluzioni in grado di assicurare la “prossimità” dello smaltimento e del recupero anche al rifiuto di origine non domestica, al fine di contenerne la movimentazione e i costi per il sistema delle imprese. Le regioni sono chiamate ad assicurare ai territori le risposte coerenti con la soluzione dei problemi: una strategia impiantistica, che è anche il presupposto per superare la sfiducia e le resistenze di matrice ideologica che trovano terreno fertile nelle tante sindromi NIMBY (“Not In My Back Yard”)».
La soluzione a quest’emergenza in Toscana ancora non è stata trovata, ma qualcosa ha iniziato a muoversi con il primo patto sull’economia circolare, che in Toscana è nato a supporto del distretto del cuoio, mentre il nuovo Piano regionale rifiuti e bonifiche (Prb) rimane in fase di elaborazione.