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Covid-19, crisi e rifiuti: la grande chance dell’economia circolare per rilanciare il Mezzogiorno
Si tratta di gestire, ogni anno, oltre 43 milioni di tonnellate di scarti. E per farlo secondo i principi di circolarità servono impianti industriali all’avanguardia, che oggi mancano
Di male in peggio, ma con una grande opportunità di cambiamento: ecco la sintesi dello stato in cui versa il nostro Sud secondo l’ultimo rapporto Svimez su “L’economia e la società del Mezzogiorno”.
Il “male in peggio” è relativo al Pil. Il crollo generalizzato a livello nazionale, vede però il Sud colpito in maniera ancora più decisa dalla seconda ondata epidemica che “ha accresciuto le difficoltà di attività̀ e pezzi di occupazione in posizione marginale (sommerso, nero, irregolari)”. Questo, secondo Svimez, porterà alla “caduta del reddito disponibile delle famiglie del -6,3% che si trasmette ai consumi privati, con una contrazione al Sud pari al -9,9% superiore a quella del CentroNord (-9%)”. Il peggio è che per il Mezzogiorno la prevista ripresa a partire dal 2021 sarà dell’1,2% e nel 2022 dell’1,4%, mentre al Centro-Nord del 4,5% nel 2021 e del 5,3% l’anno successivo, con l’evidente conseguenza “che la ripresa sarebbe segnata dal riaprirsi di un forte differenziale tra le due macro aree”.
Ma eccoci all’opportunità, che passa da una migliore gestione dei rifiuti. Secondo Svimez, semplificando, c’è talmente tanto da fare che se ci si metterà mano lo spazio di crescita con benefici ambientali, sociali ed economici è notevolissimo. “Una strategia di ripensamento della gestione dei rifiuti e un piano coordinato di interventi per la riconversione ambientale delle produzioni industriali a maggiore impatto – spiega il rapporto – sono le due gambe sulle quali far camminare un nuovo paradigma di sviluppo industriale per il Sud”.
Come detto, secondo lo Svimez “si tratta di due ambiti che trovano nel Mezzogiorno elementi di particolare criticità ma, al tempo stesso, concrete opportunità di rilancio nella fase di transizione al post-Covid”. Ma come? “Gli obiettivi sono: infrastrutturazione verde, con la mitigazione del rischio sismico e idrogeologico, contenimento della produzione di rifiuti, servizi idrici integrati efficienti, uso razionale delle risorse naturali”.
Il governo ha infatti stanziato 1,4 miliardi che andranno al Sud, sul totale di 4,2 totali stanziati dalla Legge di Bilancio 2020, per ridurre l’esposizione del Mezzogiorno al rischio idrogeologico e sostenere l’economia circolare. Questo è il punto di partenza “economico”, per sostenere il quale servono governi regionali forti. Perché “il nodo più rilevante e al tempo stesso più intricato è quello del ciclo dei rifiuti”. Per il quale “occorrono piani strategici regionali e per macro-aree, accompagnati dalla creazione di una rete impiantistica destinata alla chiusura e alla valorizzazione del ciclo dei rifiuti”. Oggi – non vengono usate mezze parole – “il ciclo dei rifiuti è assente dalle politiche per il Sud, la raccolta differenziata va avanti con fatica, mancano filiere orientate alla valorizzazione”. Ed ecco cosa è necessario in termini invece pratici: chiudere il ciclo dei rifiuti da un punto di vista impiantistico, sviluppare le potenzialità del biotech, l’efficienza energetica e l’innovazione nella filiera agroalimentare, riqualificare i siti industriali dismessi, la decarbonizzazione di 2 aree del Sud, Taranto e le zone carbonifere del Sulcis Iglesiente.
Entrando più nello specifico dell’economia circolare, il rapporto Svimez sottolinea che “il sistema di gestione dei rifiuti in due regioni, Lazio e Campania, presenta un deficit impiantistico di oltre 2,5 milioni di tonnellate, in base a dati Ispra del 2018”. In Campania “una quota pari alla metà dei rifiuti urbani indifferenziati è destinata al termovalorizzatore di Acerra”. Non solo “nel 2018, in Italia, 1,67 milioni di tonnellate di rifiuto organico provenienti dalla raccolta differenziata sono stati gestiti in una regione diversa da quella da cui originano. Di questi, il 36% ha origine dalle regioni del Mezzogiorno e ha come destinazione impianti localizzati nel Nord del Paese. La sola Campania detiene il primato nazionale: 475mila tonnellate di organico esportate in altre regioni, pari al 29% del totale nazionale”. Quindi in Campania – per fare un breve riassunto – o si brucia (anche ciò che si potrebbe recuperare), o si esporta (perché non c’è alcun impianto per l’organico) o, lo aggiungiamo noi, si smaltisce abusivamente.
E tutto ciò ha un costo enorme: l’aumento dei costi di smaltimento negli ultimi due anni è stimabile in almeno un 30%, con punte che superano il 100%, ed è “legato al deficit impiantistico e alla debolezza dell’offerta, mentre le ricorrenti emergenze ambientali e inefficienze gestionali si traducono nel sistematico aumento dei costi in bolletta, quindi a carico dei contribuenti”. Ovvio che, con una situazione così, se si articolasse davvero l’economia circolare, gli spazi di sviluppo sarebbero enormi. Si tratta di gestire, ogni anno, oltre 43 milioni di tonnellate di rifiuti: 33,4 di origine non domestica e quasi 10 di origine domestica. Non va poi sottovalutata la potenzialità della bioeconomia meridionale, compresa tra i 50 e i 60 miliardi. Rispetto al valore nazionale ha un peso tra il 15% e il 18%, rilevante se si considera che la quota del manifatturiero meridionale sul totale nazionale è pari al 10%.
Per lo Svimez, inoltre, “la costituzione di poli industriali destinati all’intera gestione delle singole filiere, capaci di raccogliere e chiudere il ciclo della valorizzazione e smaltimento, rappresenta una delle carte vincenti”. Il recente passato non è di buon auspicio per la risoluzione di un problema annosissimo. Ma per usare un vecchio slogan, se non ora quando?