La Repubblica
Intervista al ministro della Transizione ecologica
Cingolani “Le tre armi per ridurre la C0 2 e salvare l’ambiente”
di Luca Fraioli
ROMA — «Abbiamo tre armi per ridurre la CO2 nell’atmosfera e combattere l’emergenza climatica. Stiamo per caricarne una fondamentale ». Il ministro della Transizione ecologia Roberto Cingolani è reduce dall’operazione bollette: giorni concitati in cui si è cercata una soluzione ai rincari dell’elettricità che gli italiani avrebbero dovuto pagare per l’aumento dei prezzi del gas. Ma il suo sguardo è già rivolto alla Pre-Cop di Milano, da giovedì a sabato della prossima settimana, l’ultimo appuntamento dei ministri dell’Ambiente prima del vertice Onu di Glasgow che deciderà, si spera, le sorti della lotta al riscaldamento globale. Nel frattempo si moltiplicano gli allarmi, compreso quello di pochi giorni fa del Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici che disegna scenari preoccupanti per le principali città italiane: temperature medie più alte di due gradi, ondate di calore più frequenti e intense, eventi meteo estremi più violenti.
Ministro, come fare a evitare che queste previsioni si tramutino in realtà?
«Insieme all’Europa abbiamo preso impegni precisi: taglio delle emissioni di gas serra del 55% entro il 2030 e neutralità carbonica al 2050. Ora stiamo costruendo le armi per centrare questi bersagli. E una sarà pronta tra pochi giorni».
Di che si tratta?
«Il 30 settembre il ministero della Transizione ecologica pubblicherà i decreti con i criteri di selezione dei progetti relativi agli investimenti per le infrastrutture a supporto della raccolta differenziata e per gli impianti di riciclo dei rifiuti».
Ma cosa c’entra la raccolta differenziata dei rifiuti con le emissioni di CO2 ?
«Certamente l’arma primaria resta ridurre l’uso di combustibili fossili. Ma spesso non si considera che se avessimo un’economia davvero circolare emetteremmo molta meno CO2. Se non dobbiamo produrre nuova plastica, nuovo vetro, o allumino o carta, perché recuperiamo, ricicliamo e riusiamo ciò che abbiamo già, risparmiamo una quantità enorme di energia. E quindi emettiamo molti meno gas serra. Non a caso la circolarità è un tassello fondamentale del Piano nazionale di ripresa e resilienza».
Cosa ci sarà dentro i decreti che state per pubblicare?
«Le regole a cui si dovrà attenere chi parteciperà ai bandi per la realizzazione di una filiera finalmente efficace per la raccolta differenziata e il riciclo dei materiali. Il bando è da 1,6 miliardi di euro, il 60% destinati al Sud, e prevede la realizzazione di 50 impianti e nuove isole ecologiche su tutto il territorio nazionale. È il primo passo per raggiungere l’obiettivo di avere anche in Italia il 65% di rifiuti riciclati e non più del 10% che va in discarica, come d’altra parte ci chiede l’Europa. Oltre, lo ripeto, a una tappa fondamentale per la riduzione della CO2 emessa».
È l’addio definitivo ai termovalorizzatori per il trattamento dei rifiuti?
«Anche questo è un tema divisivo, ma io continuo a voler giudicare le possibili soluzioni in modo non ideologico: se dopo questa operazione che scommette sull’economia circolare, ci accorgeremo che non siamo riusciti a limitare al 10% la percentuale di rifiuti che va in discarica allora si prenderanno in considerazione i termovalorizzatori».
Delle tre armi per ridurre la CO2, a che punto è la prima, quella che punta sulla transizione energetica?
«Come ministero abbiamo fatto tutto ciò che era in nostro potere per preparare la strada che da qui al 2030 ci porterà ad avere 70GW di elettricità prodotta da eolico e fotovoltaico. Significa un incremento di 8GW l’anno. Ecco, se tra un anno non ci saranno quegli 8GW in più vorrà dire che il meccanismo si è inceppato: qualcuno la transizione energetica non la vuole davvero».
Rimane la terza arma: qual è?
«Catturare la CO2, in modo artificiale o naturale. Per milioni di anni, mari suoli e foreste hanno assorbito il carbonio mantenendo l’equilibrio. Che poi è saltato con la Rivoluzione industriale e la crescita dei consumi energetici: ogni anno usiamo 170mila miliardi di kilowatt/ora. Per questo un intervento che recuperi lo stato di salute di mari, suoli e foreste significa regalarci fenomenali trappole naturali per la CO2».
Nei giorni scorsi, di fronte agli allarmi per il futuro infuocato delle città, si è invocata l’istituzione di quello che gli anglosassoni chiamano heat manager. Può servire un assessore al caldo?
«Inutile creare manager che non hanno nulla da gestire. Vanno prima costruite le infrastrutture, penso per esempio al fotovoltaico o alle colonnine per la ricarica delle auto, e poi individuate le persone che le facciano funzionare. Di sicuro le nostre città vanno riprogettate e rese sostenibili, accettando qualche compromesso. Ma va anche detto che il prezzo più alto lo pagheranno quei tre miliardi di persone che oggi non hanno accesso all’energia elettrica o a combustibili puliti per cucinare. Dobbiamo pensare anche a loro».
Guardando più prosaicamente nelle nostre tasche: è risolta la questione delle bollette?
«Abbiamo provveduto alla mitigazione istantanea con una riduzione di circa il 40% di riduzione rispetto all’aumento totale. Nei prossimi due mesi troveremo una soluzione strutturale».
Biden ha appena promesso di raddoppiare gli aiuti green ai Paesi in via di sviluppo e Xi Jinping ha annunciato lo stop della Cina a nuovi impianti a carbone all’estero.
Torna il sereno su Cop26?
«È un processo iniziato al G20 Energia e Ambiente di Napoli lo scorso luglio. E non escludo che da qui a Cop26 ci possano essere altre buone notizie, anche grazie alla mediazione italiana» .