Il Sole 24 Ore
Bloccati 160 impianti di bio gas e alt ai parchi eolici in Calabria
Dal Piemonte alla Sicilia, i siti avrebbero prodotto metano dai rifiuti
Le contestazioni più comuni riguardano la vocazione turistica dei territori
Jacopo Giliberto
La transizione non ecologica. Sono stati bloccati dai comitati del no circa 160 impianti che, dal Piemonte alla Sicilia, avrebbero prodotto metano facendo fermentare i rifiuti da eliminare invece di estrarre quel gas dai giacimenti. La Regione Calabria sospende tutte le autorizzazioni agli impianti eolici e alle linee elettriche. Il consorzio del Primitivo di Manduria si dice pronto «alle barricate» per fermare le centrali solari.
Mentre si parla di transizione ecologica, di lotta contro i combustibili fossili, di emergenza climatica, del futuro dei bambini, di aria sempre più irrespirabile, nel frattempo i fatti per risolvere i problemi dell’ambiente vengono ostacolati dalle parole.
Calabria contro le rinnovabili
L’assessore regionale all’Ambiente, Sergio De Caprio, ha detto che blocca tutti gli iter autorizzativi in corso. Per fini paesaggistici e culturali, dice. Ma (attenzione) molti investimenti eolici in Calabria sono stati sfiorati dal tocco mortale della ndrangheta, e l’assessore De Caprio è un formidabile oppositore delle mafie: è il “Capitano Ultimo” che, quando era nei carabinieri, riuscì ad arrestare Totò Riina.
La Regione informa che l’assessore ha deciso di sospendere tutte le autorizzazioni in lista d’attesa «nelle more dell’approvazione del Piano paesaggistico della Regione Calabria, ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42, “Codice dei beni culturali e del paesaggio”». Questi impianti «rappresentano una violenza alla bellezza della Regione e allo sviluppo del turismo». Arriverà anche un «marchio di qualità dell’energia rinnovabile regionale», avverte la Regione.
Lontano da qui
Sono tutti d’accordo che bisogna fare qualcosa, sì, ma lontano da qui. Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club, ha censito finora circa 160 progetti di biometano bloccati dai comitati nimby. Sono quasi tutti impianti che per far fermentare i rifiuti organici che i cittadini separano con la raccolta differenziata. Gli impianti per biogas nel chiuso di contenitori stagni e sigillati riescono a produrre metano identico a quello fossile estratto con le trivelle dai giacimenti nel sottosuolo e portato con i gasdotti come quelli che arrivano dalla Siberia. Ma questo prodotto dai rifiuti non è combustibile fossile ed è a impatto climatico zero.
Secondo il censimento «le contestazioni più comuni si basano su due slogan», ricorda Ferrante del Kyoto Club. «Primo: l’impianto devasterà il nostro territorio, vocato al turismo culturale e all’agricoltura di qualità. Secondo slogan: questo impianto ci avvelenerà».
Nel sostenere i comitati del no si agitano politici locali di ogni partito, colore, tonalità e sfumatura politica, tutti parimenti assetati di consenso.
Secondo le stime della Snam, in teoria c’è un potenziale tecnico per produrre dai rifiuti un potenziale di 8 miliardi di metri cubi, cioè una quantità di metano non fossile che sostituirebbe i giacimenti nazionali di metano fossile che vanno svuotandosi.
Conclude Ferrante: «La raccolta differenziata non è un modo di smaltire i rifiuti ma solamente un modo di gestirli per facilitarne lo smaltimento quando ci sono gli impianti. Chi si oppone alla costruzione degli impianti, dove pensa e come pensa di smaltire i rifiuti che produce?»
Qui Gricignano d’Aversa
La Sersys Ambiente di Rivoli (Torino) ha presentato i progetti di biometano a Civitavecchia (Ambyenta Lazio) e a Gricignano d’Aversa (Ambyenta Campania) che potrebbero contribuire a risolvere i problemi di rifiuti delle due regioni che ogni giorno riempiono di spazzatura centinaia di camion destinati al Veneto, al Friuli o alla Germania. Ostacoli anche a Civitavecchia, ma a Gricignano le opposizini contestano il fatto che per l’impianto sia stata scelta, inaudito!, un’area industriale abbandonata nella zona produttiva della cittadina.
Brescia e le altre
I casi più singolari del no agli impianti di biogas sono nelle Marche (come a Iesi e a Pesaro), in Sicilia, a Masate nel Milanese.
A Lecce i comitati del no dicono che l’impianto per produrre gas va bloccato perché (vergogna!) produce gas.
A Vercelli la locale azienda Asm va fermata perché «l’ambiente non deve essere compromesso» da un impianto per smaltire i rifiuti organici e produrre metano non fossile.
A Rondissone (Torino) i comitati vincono al Tar perché il progetto approvato dalla Città metropolitana e dall’Arpa Piemonte è a mezzo chilometro da una frazione con 133 abitanti.
In Abruzzo il sì della Regione a un impianto di biogas è contestato dai sindaci perché «qui ci sono già troppi impianti eolici».
Ma in questo campionario merita qualche riga in più il caso della provincia di Brescia. Per esempio a Bedizzole l’A2A è stata bloccata perché vuole produrre il metano da immettere nella rete del metano in un impianto che già tratta i rifiuti organici, finora senza però estrarne metano.
A Leno il Comune si affretta a emendare il piano regolatore apponendo il divieto totale di realizzare qualsiasi impianto di produzione di metano da rifiuti perché «comporterebbe la sottrazione di suolo agricolo idoneo per lo spandimento dei reflui zootecnici». Cioè no all’impianto perché su quel terreno è meglio spargere il letame degli allevamenti.