Approvato finanziamento da 10 mln di euro per realizzare un biodigestore

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Rifiuti, per contenere la Tari servono gli impianti: il caso Arezzo

Chierici (Aisa): «L’economia circolare non si può fare senza impianti»

Di Luca Aterini

Intesa Sanpaolo ha approvato un finanziamento da 10 mln di euro per realizzare il biodigestore previsto dalla partecipata pubblica Aisa impianti nel Polo di San Zeno (Arezzo), dove sono in corso investimenti per 37 mln di euro totali per migliorare il ciclo di gestione rifiuti.

Più nel dettaglio, il finanziamento consentirà concludere l’ampliamento dell’impianto di compostaggio entro settembre 2021 e di realizzare (a monte) il biodigestore anaerobico entro il 2022: «In meno di 3 mesi la Provincia di Arezzo sarà completamente autosufficiente nel recuperare tutta la frazione organica raccolta in forma differenziata ed entro 18 mesi si produrranno circa 2 milioni di metri cubi di biometano», spiegano da Aisa.

«Un finanziamento da parte di un così prestigioso istituto di credito dimostra nei fatti la bontà del progetto – argomenta il presidente di Aisa Impianti, Giacomo Cherici – L’economia circolare non si può fare senza impianti. Il finanziamento consente la realizzazione di un progetto che consentirà di mantenere inalterate per anni le tariffe: questo è il mandato conferito da tutti i Comuni soci all’azienda».

Anche il sindaco di Arezzo, Alessandro Ghinelli, conferma: «Il finanziamento andrà ad arricchire un impianto di per sé già strutturalmente prezioso. Ottenere un finanziamento da 10 milioni di euro da un gruppo bancario italiano così importante, in un momento come questo, significa innanzitutto che Aisa impianti è credibile e che questo progetto è importante non solo per la collettività ma anche perché ne attesta la sostenibilità economico finanziaria».

Un tema sensibile in Toscana, dove nelle ultime settimane molti territori si sono trovati a pagare una Tari più salata, riscoprendo così loro malgrado tre verità troppo spesso sottaciute: raccogliere i rifiuti costa – come del resto costa tenere pulita casa propria –, soprattutto se fatto tramite modalità complesse come la raccolta porta a porta; i rifiuti raccolti rappresentano “una risorsa” solo se a valle c’è un adeguato mercato di sbocco (cui dovrebbe contribuire in primis la Pa tramite gli acquisti verdi), altrimenti sono un disvalore da gestire; se tra raccolta e mercato non c’è una filiera impiantistica di prossimità per selezionare e avviare i rifiuti raccolti a recupero (o a smaltimento, a seconda dei casi), i costi crescono ulteriormente insieme al ricorso all’export.

Nel merito, lo stesso Cherici nei giorni scorsi spiegava che «le inefficienze economiche (o maggiori costi) hanno varie origini tra cui la “carenza impiantistica” che costringe alla esportazione di rifiuti verso altre Regioni, Paesi Europei, Africa, Estremo Oriente. Lo stesso vale per la raccolta differenziata che senza adeguati impianti di trattamento diventa un costo. Alla base della mancanza di impianti ci sono le sindromi Nimby e Nimto che hanno prodotto disastri. La Nimto è ancor peggio della Nimby, significa “non durante il mio mandato elettorale” e rappresenta in modo drammatico l’incapacità politica che blocca lo sviluppo dei progetti da cui nascono le infrastrutture strategiche. Faccio un esempio apparentemente banale: un amministratore di un Comune che ottiene un’altissima percentuale di raccolta differenziata che poi finisce in impianti lontanissimi perché non ci sono altre possibilità di trattamento a livello locale ottiene un risultato negativo pur apparendo bravo. Purtroppo siamo abituati a pensare che la raccolta differenziata sia la soluzione, invece è solo una parte della soluzione. Ecco perché la raccolta differenziata può costare invece che essere un vantaggio».

E questa complessiva carenza d’impianti di prossimità può finire paradossalmente per gravare anche sui territori che ne sono dotati, se nelle vicinanze scarseggiano. «Chi paga il costo provocato dalla carenza impiantistica? Tutti – afferma Cherici – compreso le zone che hanno infrastrutture ad hoc. Cerco di chiarire i concetti: il nostro territorio è dotato di impianti, entro breve produrremo biometano dalla raccolta differenziata dell’organico quindi recupero di risorse, ma su di noi pesano le carenze di altri territori che non hanno impianti. Questa cosa può essere accettata per il principio di sussidiarietà ma l’aspetto ambientale e quello economico vengono meno».

Sta di fatto che avere una dotazione impiantistica adeguata – lungo tutto il ciclo di gestione rifiuti – e istituzioni pubbliche che la sostengono resta fondamentale: «Questa Amministrazione comunale, nelle persone del sindaco Ghinelli e dell’assessore Sacchetti, è stata determinante per il progetto di riposizionamento di Aisa impianti, unitamente agli altri Comuni soci. Una visione moderna e ingegneristica che sta dotando questa provincia di una centrale a recupero totale e di un piano d’investimenti da 37 milioni di euro con una novità tecnica importantissima: la linea termica concepita come processo di coda per gli scarti non recuperabili sotto forma di materia», conclude Ghinelli.

In altre parole, si tratta del Piano industriale presentato lo scorso agosto. Con i 37 mln di euro a San Zeno oltre al compostaggio e alla biodigestione cresceranno sia trattamento meccanico-biologico (Tmb), secondo criteri di selezione rifiuti più moderni che daranno vita alla cosiddetta “fabbrica dei materiali”, sia la termovalorizzazione, che passerà dalle 45mila ton/anno attuali a 75mila: il termovalorizzatore avrà principalmente la funzione di recupero energetico del sopravaglio ottenuto dal trattamento dei rifiuti urbani indifferenziati e delle frazioni secche di scarto provenienti dal Tmb, mentre ciò che non può essere recuperato neanche energeticamente viene smaltito in sicurezza in discarica, chiudendo il cerchio.

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