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Greenreport

I risultati del nuovo sondaggio Ipsos presentati oggi all’Ecoforum

Per gli italiani economia circolare fa rima con industria, ma non nel proprio giardino

Ok agli impianti, ma almeno a 10 km di distanza. Ciafani (Legambiente): «C’è ancora molto da fare in termini di campagne di informazione e sensibilizzazione per contrastare l’effetto Nimby»

Di Luca Aterini

Economia circolare e industria si stanno avvicinando, nella percezione degli italiani, ma si tratta ancora di un mondo da guardare a debita distanza: secondo il sondaggio realizzato da Ipsos per l’Ecoforum di Legambiente, La nuova ecologia e Kyoto club, solo il 10% degli intervistati non ha necessità che ci sia distanza da casa propria al più vicino impianto per il riciclo.

Il 15% degli italiani li vuole invece ad almeno 2 km dalla propria abitazione; il 30% si spinge fino a 10 km, il 21% addirittura a 50 km. Dunque, oltre la metà della cittadinanza pone il vincolo di (almeno) 10 km. Perché?

Tra le motivazioni spicca per il 55% degli intervistati l’inquinamento dell’aria, per il 33% dall’inquinamento dell’acqua e per il 25% da quello acustico. Anche se questi impianti “sono gestiti in massima sicurezza e controllati continuamente”, come specificato nella domanda. In altre parole i cittadini non si fidano, come emerso già durante l’Ecoforum dello scorso anno.

«Il problema – spiegava già Andrea Alemanno, Responsabile ricerche sostenibilità per Ipsos – è che tanti ancora non conoscono questi temi, c’è una bassa conoscenza effettiva: è la mancanza di conoscenza che molto spesso impedisce di avere impianti, c’è il pregiudizio che l’impianto che dovrebbe aiutarci a inquinare di meno sia a sua volta inquinante. Le persone vorrebbero un’economia sostenibile, ma di fronte agli elementi di dettaglio la loro bassa conoscenza ne riduce la portata».

Piccoli passi avanti sono stati fatti, nel corso degli anni. In un analogo sondaggio mostrato sempre all’Ecoforum quattro anni fa, per il 63% dei cittadini intervistati il rifiuto differenziato addirittura non andava trattato attraverso processi industriali per riciclarlo e produrre nuovi manufatti.

Adesso, invece, per il 51% degli italiani che dichiarano di conoscere almeno superficialmente il tema, l’economia circolare è un concetto che coinvolge in prevalenza l’industria; un dato che sale al 70% per coloro che dichiarano conoscenze più approfondite.

Una consapevolezza che sembra tradursi anche in richiesta d’investimenti: tra le azioni prioritarie al centro del Pnrr per il 47% degli intervistati ci devono essere risorse per la riconversione degli impianti industriali obsoleti, per il 36% occorre incentivare le aziende impegnate sulla circolarità, per il 40% educare i cittadini e per il 39% sostenere la ricerca. In realtà il Pnrr approvato dal Governo Draghi prevede pochissime risorse per l’economia circolare e per la gestione rifiuti in particolare, ma le priorità espresse dai cittadini restano positive. Il problema è che non riescono a tradursi in realtà proprio a causa delle sindromi Nimby e Nimto che attraversano lo Stivale, come testimoniato da ultimo dalla Corte dei conti.

Dall’analisi del sondaggio emerge dunque la necessità di «trovare una sintesi delle esigenze dei singoli soggetti coinvolti, che giunga a soluzioni migliori. Una buona interazione tra il Governo nazionale e le regioni, come espressione delle esigenze territoriali, dovrebbe portare nelle aspettative a scelte condivise». Due quindi le priorità: una migliore programmazione politica e più dibattiti pubblici.

Sul primo fronte l’auspicio è che si renda utile il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti (Pngr) richiamato anche all’interno del Pnrr, il cui iter è stato avviato dal ministero dell’Ambiente lo scorso novembre e dovrà concludersi entro marzo 2022. I dibattiti pubblici invece attendono ancora di essere impiegati su larga scala, ma anche in questo caso è bene non farsi illusioni: dopo aver dibattuto e discusso una parte degli stakeholder assai probabilmente rimarrà contraria all’impianto in ipotesi, e in tal caso dovrà essere la politica a trovare la forza di sopportare il dissenso in nome dell’interesse pubblico.

«In Italia è arrivato il momento di imprimere un’accelerata alla rivoluzione dell’economia circolare avviata dall’Europa – commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – Nel nostro Paese vantiamo molte esperienze virtuose pubbliche e private, dal nord al sud della Penisola, ma sono ancora troppi i problemi da risolvere: ora è fondamentale definire un vero e proprio piano nazionale dell’economia circolare. C’è ancora molto da fare in termini di campagne di informazione e sensibilizzazione sul tema anche per contrastare l’effetto Nimby».

Perché senza buona informazione e comunicazione ambientale è evidente che non c’è consapevolezza sulla transizione ecologica, e senza questa non nasceranno neanche gli impianti industriali per concretizzarla.

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