Greenreport
Riciclo, discariche e inceneritori: un’aritmetica fuorviante
Ferrante: i sostenitori dell’incenerimento fondano la loro teoria sulle emissioni di metano che sarebbero più alte nel caso delle discariche, ma le cose stanno cambiando rapidamente
Negli ultimi mesi nell’ambito della trattazione del tema della gestione dei rifiuti da più parti si è diffusa un’impostazione apparentemente “scientifica”, “aritmetica” che invece a nostro parere è fuorviante.
Si dice: “Obiettivo europeo di riciclo è il 65%, alla discarica non si potrà ricorrere per più del 10%, quindi 100-65-10=25 e quella è la percentuale che dobbiamo avviare a incenerimento”. Sembra elementare e invece è sbagliato. Prima di tutto si deve ricordare che il 65% è obiettivo minimo da raggiungere, non un limite massimo. Infatti sono molti i territori nel nostro Paese che grazie a efficienti sistemi di raccolta differenziata (porta a porta) sono in grado di avviare a riciclo quantità sempre maggiori di materiale e quindi possono o potranno a breve superare quella percentuale. Inoltre la parte non recuperabile della percentuale residua non differenziata diminuisce sempre di più, perché grazie all’innovazione tecnologica siamo sempre più in grado di progettare sistemi che minimizzino la quantità di rifiuto che inevitabilmente dovrà finire in discarica.
Da qui la nostra perplessità ogni volta che sentiamo invocare la necessità di aumentare la capacità di termovalorizzazione per i rifiuti urbani invece di concentraci sui sistemi di raccolta e sulle innovazioni di processo. Ma anche sulle discariche ci sembra che non si faccia corretta informazione. Se assumiamo come principio di realtà che non possiamo fare a meno di “discariche a servizio dell’economia circolare” (quel 10%) dobbiamo intenderci su “quale” discarica, sia dal punto di vista dei rifiuti che vi finirebbero (solo e soltanto quelli altrimenti non recuperabili) sia in termini di impatto che la stessa ha sul territorio e sull’ambiente, e non certo quelle che ha fatto scempio del nostro territorio e hanno contribuito con le emissioni di metano ad esse attribuibili ai cambiamenti climatici.
Ma se è questo l’orizzonte futuro appare tanto più insensato che per affermare la “necessità della valorizzazione energetica dei rifiuti”, in più occasioni e da più soggetti, sia stato proposto e divulgato un confronto comparativo tra la soluzione dell’incenerimento e quella dello smaltimento in discarica citando studi che facevano sembrare il primo preferibile alla seconda.
Ma i dati che vengono utilizzati in questi studi si riferiscono a tipologie di discariche superate e non più proponibili, che anzi sarebbero illegali, per paragonarli ai dati di emissione dei termovalorizzatori di ultima generazione in modo da poter vantare risultati migliori per questi ultimi. Un trucco piuttosto eclatante.
La contrapposizione – che non avrebbe senso – tra discariche e inceneritori che presenta il WasteToEnergy come “ambientalmente positivo” peraltro non contribuisce, per nulla, a superare la sindrome di Nimby (che è l’obiettivo dichiarato di chi la formula). Piuttosto sembra fatta apposta per alimentare ulteriormente la sindrome Banana (Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anything, ovvero non costruire assolutamente niente da nessuna parte vicino a niente).
Sul piano tecnico scientifico deve essere chiaro che i sostenitori dell’incenerimento fondano la loro teoria sulle emissioni di metano (gas serra circa 25 volte più impattanti dell’anidride carbonica). Ma i dati che vengono riportati nelle tabelle di confronto si riferiscono a vecchie discariche che hanno accolto rifiuti putrescibili (e quindi con elevate produzioni di metano e anidride carbonica), un modello di impianto ormai non più proponibile visto che l’organico deve essere raccolto separatamente e avviato a recupero in compostatori o digestori anaerobici (con produzione di biometano).
Peraltro, a termini di legge, le discariche, già ora possono ospitare solo ridotte quantità di rifiuti putrescibili e in futuro si azzereranno, e quindi il loro contributo alla produzione di gas serra si è già ridotto ed è destinato a minimizzarsi.
La strategia europea infatti prevede nelle modifiche alla “Direttiva discariche” il conferimento in discarica di soli rifiuti non biodegradabili (o a bassa biodegradabilità); l’introduzione di tecniche innovative per la mitigazione della produzione di metano (ad esempio la tecnica della discarica aerobica); ricorrere, per eventuali flussi residuali di biogas poveri in metano, a sistemi di biossidazione (biofiltri).
Insomma sia le emissioni dirette di CO2 sia quelle fuggitive di metano nelle nuove discariche – le uniche che possono essere consentite in una corretta visione di economia circolare – sono trascurabili. Intanto, i termovalorizzatori sono diventati invece una forma di produzione di energia non competitiva anche in termini di emissioni di CO2 perché la carbon footprint della produzione energetica in Europa negli ultimi trent’anni si è dimezzata passando da 520g/CO2-eq/kWh a circa 260, e continua a scendere grazie al sempre più massiccio (seppur ancora troppo lento) ricorso alle rinnovabili. E non a caso l’incenerimento è stato escluso dalle attività finanziabili nella tassonomia europea recentemente approvata.
di Francesco Ferrante, vicepresidente Kyoto Club